One vision...
Accidenti che posto strano questo! Chissà dove mi trovo? Sembra la mia casa al mare, quella dove ho passato tutte le estati della mia vita fino ai vent’anni e dove, da allora, non ho più avuto voglia di tornare. C’è qualcosa, in effetti, che la ricorda: le scale, l’arredamento datato, quegli oggetti inutili che, a forza di averli sotto gli occhi, ti rimangono impressi nella memoria per tutta la vita, tipo i pupazzetti dei sette nani o la dama magnetica da spiaggia. Però è tutto molto confuso. Non ho la percezione chiara di trovarmi proprio lì, ne ho solo l’impressione. E, poi, in che situazione strana mi trovo: sono in casa mia (a questo punto prendiamo per buona l’ipotesi che sia realmente (?) la casa del Circeo) e devo tornare di sopra a prendere delle cose per poter finalmente ripartire, mentre gli altri mi aspettano fuori. Voi direte: dov’è lo strano? Bè, un fatto un po’ curioso è che gli altri che stanno fuori siano un pullman di militari in divisa mimetica, ma non i miei compagni di naja (il che sarebbe strano, ma verosimile (?)), bensì una specie di commando scelto, anche se scelto a far che lo ignoro totalmente. In realtà, mi sembra che, nelle ore precedenti, io e gli altri sul pullman abbiamo provato a lasciare questo comprensorio residenziale, come se avessimo terminato la nostra missione, ma qualcosa ce lo ha impedito. Non so se siano stati i cancelli, il guardiano, che in realtà dorme sempre, o forse proprio il fatto che non avevo preso quelle cose che adesso sono venuto a cercare in casa. Ma cosa sto cercando? E chi lo sa. Mi sembra che cercare della biancheria sia la cosa più giusta da fare adesso, la cosa più ovvia, anche se, a ben guardare, non ha granché senso. Comunque, mi dirigo verso le scale perché il piano superiore ospita le stanze da letto e lì potrò trovare le culottes che ci consentiranno di andarcene da questo posto. Sento, però, tra i piedi qualcosa, il pavimento non è sgombro e facile da attraversare. Immagino ci siano dei tappeti arrotolati. Non riesco bene a rendermi conto, ma non me ne preoccupo granché. Sento proprio di volermene andare e sono decisissimo a riuscire a salire la scala. Credo che questa blanda difficoltà nell’attraversare la sala sia l’ennesimo piccolo intoppo di quella serie di contrattempi che ancora ci costringe qui. Pian piano metto a fuoco meglio. Ho fatto diversi passi e avrei già dovuto essere ai piedi della scala, ma qui è tutto strano e le sensazioni, pur chiare e nettissime, non offrono sicurezza di giudizio. Cioè sono sicuro che quando villeggiavo qui, con i dieci passi che sicuramente ho fatto (perché li ho fatti io, almeno questo lo ricordo con certezza), avrei coperto uno spazio pari almeno al doppio della distanza che mi separa ancora dalla scala. Forse sarà perché ho capito definitivamente la teoria dello spazio curvo e, com’è era in fondo prevedibile ed inevitabile, la cosa mi si sta torcendo contro. La verità, o ciò che almeno sembra tale, sconvolge sempre un po’. Però non credo giusto imputare al vecchio Bohr anche quello che adesso appare chiaro ai miei occhi. I tappeti arrotolati o, meglio, quelli che avevo creduto tali, in realtà, sono leoni, anzi leonesse, data l’evidente assenza di criniera, che sonnecchiano nel mezzo della sala. Addirittura ce n’è una che dorme appoggiata sui primi gradini della scala. Che fare? Non ci penso su neanche troppo e, data la situazione e quelli là fuori che mi aspettano, decido, sia pur con cautela, di muovermi verso la scala. I primi passi non mi presentano problemi, sono moderatamente fiducioso. In realtà (?), poi, mi accorgo che non riesco a vedere chiaramente quello che ho sotto i piedi, le cose più vicine a me, secondo quanto pare che accada alla memoria dei vecchi che distingue nitidamente i ricordi più lontani e confonde quelli vicini. Quindi navigo a memoria in un mare asciutto, infestato di leonesse. Ma che senso ha tutto questo? Ma dove mi trovo? Perché sto qui? Assurdamente, visto il momento, mi trovo a pensare che queste domande hanno risposta difficile tanto nella situazione bislacca che sto vivendo, quanto, però, nella vita normale che faccio tutti i giorni. Il mio piede urta lievemente una lunga coda e il brivido di paura mi riporta ai miei problemi contingenti; mi aspetto, a questo punto, di dover fronteggiare un ruggito, almeno uno sguardo duro. Invece la leonessa alza appena la testa verso di me. È abbastanza annoiata e pare che non rappresenti affatto una novità per lei, né un motivo di interesse. Meglio così. Infatti, dopo avermi dato un’occhiata che si riserva al postino o allo spazzino nell’assolvimento delle proprie funzioni, si rimette giù nella stessa posizione di prima. Tranquillizzato, a questo punto, mi dirigo diretto alla scala e la raggiungo. Scanso con un gesto del piede, anche deciso, la leonessa appoggiata e vado su. Dai che ce ne andiamo, penso. A metà della rampa mi volto verso la finestra e vedo, anzi non vedo più il commando. Sono andati via, mi hanno lasciato lì. E non so nemmeno se devo arrabbiarmi o no. Forse me lo aspettavo, insomma la cosa non mi dispera più di tanto e sicuramente meno di quanto dovrebbe. Solo, senza riuscire ad allontanarmi da una casa che ha nel salotto leonesse che dormono. Di sicuro adesso sento che la biancheria non ha più senso, quindi riscendo la scala. Ormai mi muovo tranquillo, non ho paura di passare in mezzo agli animali. Adesso, però, mi colpisce un odore di zoo, tutt’altro che piacevole, ma assolutamente ragionevole. C’è un armadio nella sala vicino alla cucina. Quell’armadio mi riporta ad odori forti di canfora, a racchette da tennis vecchie messe via da una vita, a tende per le porte d’ingresso fatte con l’uncinetto, ricevute in regalo ed immediatamente sepolte lì. In un angolo in basso a destra trovo un puzzle. Lo ricordo, sta lì da una vita. Nessuno lo ha mai fatto perché è facile, sono pochi pezzi e la figura finale non è neanche bella. È un carretto siciliano trainato da un mulo. Una di quelle icone che hanno definitivamente rovinato la reputazione della Sicilia, assieme alla mafia e qualche altro dettaglio. Però, penso, è un modo come un altro di andarsene da qui e mi metto a fare il puzzle. Vado spedito perché fare puzzle è anche un fatto di tecnica: prima di tutto bisogna raggruppare i pezzi simili tra loro per colore, poi cominciare a costruire il bordo della figura ed infine riempirne il centro. Certo, tornare a casa col carretto siciliano, invece che sul gippone militare non è che sia proprio il massimo, ma stare qui mi annoia proprio. Ormai mancano pochi pezzi, la figura si riconosce perfettamente. Penso, ormai avvezzo alle stranezze di questi momenti, a come farà il carretto ad uscire dalla figura. E il mulo? Chissà se, grazie al puzzle, capirò i comandamenti del rendering 3D? Mi sa che non racconterò niente a nessuno. Non perché mi prenderebbero per pazzo, che è cosa di cui davvero nulla mi cale. Però non so, non mi va di far sapere in giro tutto questo, di mettermi a raccontare tutta la storia. Sì, penso che tornerò a casa e dirò che ho fatto un giro, lungo. Che mi andava di vedere come era adesso la casa al mare. Poi, in definitiva, non devo proprio dire niente a nessuno. Tra poco metto l’ultimo tassello e vado a casa.
Un pensiero, rapido: ci sarà l’ultimo tassello?
Un pensiero, rapido: ci sarà l’ultimo tassello?
2 Comments:
Loc, un commento momentaneo su "One vision" che mi ha divertito e stimolato: è una metafora onirico-realistica della nostra esistenza. La tua visione si può intendere per qualche verso nel modo più diretto ed immediato della reale situazione che racconta-la casa, i militari, il guardiano che dorme, il puzzle, le scale- ma con qualche aggiunta surreale e fantastica che la rende per l'altro verso un sogno metaforico delle esigenze dell'esistenza-la biancheria che a mio parere rappresenta la necessità intima di trovare l'amore e che attraverso quello si possa gingere a casa, la meta- e delle difficoltà- le leonesse sonnecchianti, ma pur sempre felini pericolosi, e delle finalità, già prima accennate-il puzzle, il desiderio di tornare o giungere a casa mediante un'altro strumento o concetto, non più l'amore bensì il lavoro, materializzatosi nell'azione di comporre un puzzle. Aggiungo e sottolineo il sesso dei leoni, femmine. Forse non è un caso che la diversità di genere ti desti nella vita qualche turbamento.
Questa è solo la mia personale interpretazione con le mie proiezioni emotive e intellettuali sulla tua storia fantastica. Preso atto del fatto che tutti gli uomini sono uguali, forse ti riguardano:) Baci, bravo, bravissimo, a dopo Rufo
30 novembre, 2005 11:47
Aggiungo infine che, ciò che ho commentato, ti riguarda e sopratutto ci riguarda tutti. Grazie di avercelo ricordato e di averci fatto riflettere una volta di più. La forza deriva dall'abitudine nell' affrontare la quotidianità. La tua visione ce lo ridice. Una perla, il mio commento, la tua storia, per chi vorrà e potrà farla sua, trattenendo il concetto. Rufo
30 novembre, 2005 11:55
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