"Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti." "Avanza qualcosa?" "Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io."

giovedì, novembre 24, 2005

Leggere sulla metro

Al mattino, per andare in ufficio, prendo la metro. La scena più o meno è questa: persone in vario grado incattivite dal sonno, dal freddo, dalla frustrazione, in taluni casi dalla disperazione, affollano una banchina battuta dal vento. In una mano ho il computer portatile e nell'altra la borsa con le carte che mi servono per lavorare. Ne consegue che il giornale, che ho appena acquistato e che gradirei riuscire a leggere, rimane "pinzato" tra l'indice e il pollice di una delle mie due mani occupate. Arriva la metropolitana e saliamo, perfettamente consci che i posti a sedere sono tutti, senza eccezione, già occupati. A questo punto, invariabilmente, mi colpisce la visione di n-replicanti tutti identici che, comodamente seduti (bastardi maledetti), leggono giornali, tutti identici. Poi, immancabilmente, impreco. Quindi, necessariamente, depreco. Stimolato dall'invidia pura, assoluta che provo per chi ha un posto a sedere, penso: "Vedi il ricatto della gratuità? Vedi che masnada di caproni, carne da macello degli uomini (in nero) del marketing? Tutti uguali, a leggere le pagine tutte uguali di giornali tutti uguali". E, pavlovianamente, stringo più forte tra l'indice ed il pollice la mia fiera autodeterminazione da 0.90€.
Non appena riassorbo questa spruzzata di livore paraconsolatorio, penso che, per raggiungere la metro, esco di casa sempre alla stessa ora; sono costretto invariabilmente ad un passo da bradipo (38 minuti per 4 km, pari a 6,315 km/h di media) da un traffico pazzesco, per distrarmi dal quale ascolto alla radio sempre gli stessi programmi (radiodue); prendo ogni giorno la stessa scorciatoia per risparmiare un po' di tempo, regalandomi un pallidissimo sospetto di superiore intelligenza; il giornalaio ormai rimette il suo orologio atomico al cesio quando appaio nella sua edicola e non devo neppure chiedergli il giornale, che mi dà automaticamente con un gesto rapido della mano che vale anche per saluto; arrivo al parcheggio di scambio dove lascio la macchina sempre nella stessa fila, dato che arrivo sempre alla stessa ora. Poi, come ho raccontato, prendo la metro e faccio risuonare il mio barbarico Yawp, indignandomi con gli altri cani alla catena ogni giorno nella stessa maniera.
Mi domando: faceva dunque parte del bottino di guerra degli americani anche un'organizzazione della produzione (e dunque del lavoro e dunque della vita delle persone) che risolvesse (per ko tecnico, direi) in chiave pragmatico-statunitense il tema, dibattuto oziosamente dalla vecchia Europa per quasi duemila anni, del libero arbitrio?

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

...io...un libro. Lascio quei bignami dell'informazioni alle facce senza faccia. Il popolo della metropolitana è...bizzarro!

21 dicembre, 2006 16:00

 

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