Pacs nobiscum
Il tema della revisione del concetto di famiglia (banalizzato nella sotto-sottocategoria dei PACS) è davvero difficile, soprattutto per i “rumori (neanche tanto) di fondo” che coprono le voci di chiunque tenti di articolare un proprio ragionamento in materia senza adottare la modalità “scontro ideologico”. Parto da un punto per me irrinunciabile: la finalità di un’eventuale riforma dev’essere quella di rimuovere le differenze di tutela che allo stato esistono tra cittadini che in teoria dovrebbero poter godere degli stessi diritti.
Mi piacerebbe, pertanto, che il discorso venisse affrontato a questo livello, tralasciando le considerazioni di carattere etico sull’eventuale superiorità di una modalità di famiglia rispetto ad un’altra, che impediscono un confronto utile sul vero oggetto della contesa. E devo dire che va riconosciuto proprio a Benedetto XVI di aver contribuito non poco a riportare la discussione nei termini che ho poc’anzi auspicato, con l’ultimo suo attacco ai PACS.
Riporto, citandole puntualmente per amore di verità e comodità nella discussione, le dichiarazioni di ieri del Papa: «… È necessaria una politica della famiglia e per la famiglia. Si tratta di incrementare le iniziative che possono rendere meno difficile e gravosa per le giovani coppie la formazione di una famiglia, e poi la generazione e l'educazione dei figli, favorendo l'occupazione giovanile, contenendo per quanto possibile il costo degli alloggi, aumentando il numero delle scuole materne e degli asili-nido. […] Appaiono pericolosi e controproducenti quei progetti che puntano ad attribuire ad altre forme di unione impropri riconoscimenti giuridici, finendo inevitabilmente per indebolire e destabilizzare la famiglia legittima fondata sul matrimonio».
Mi piacerebbe, pertanto, che il discorso venisse affrontato a questo livello, tralasciando le considerazioni di carattere etico sull’eventuale superiorità di una modalità di famiglia rispetto ad un’altra, che impediscono un confronto utile sul vero oggetto della contesa. E devo dire che va riconosciuto proprio a Benedetto XVI di aver contribuito non poco a riportare la discussione nei termini che ho poc’anzi auspicato, con l’ultimo suo attacco ai PACS.
Riporto, citandole puntualmente per amore di verità e comodità nella discussione, le dichiarazioni di ieri del Papa: «… È necessaria una politica della famiglia e per la famiglia. Si tratta di incrementare le iniziative che possono rendere meno difficile e gravosa per le giovani coppie la formazione di una famiglia, e poi la generazione e l'educazione dei figli, favorendo l'occupazione giovanile, contenendo per quanto possibile il costo degli alloggi, aumentando il numero delle scuole materne e degli asili-nido. […] Appaiono pericolosi e controproducenti quei progetti che puntano ad attribuire ad altre forme di unione impropri riconoscimenti giuridici, finendo inevitabilmente per indebolire e destabilizzare la famiglia legittima fondata sul matrimonio».
Qualche problema di comunicazione il Santo Padre ce l’ha, perché ieri alla radio, mentre tornavo verso casa, ho ascoltato un laicissimo ex-direttore di quotidiano – che conosco per uomo colto ed onesto intellettualmente – sostenere con inviperite parole che neppure l’autorità morale di capo della Chiesa cattolica poteva conferire a Ratzinger il diritto di definire pericolose le coppie di fatto. Appare evidente, invece, che per il successore di Pietro non di problema morale si tratta, ma di utilizzo di risorse. Le politiche a sostegno della famiglia, quali quelle che auspica il Papa, ovviamente costano. La preoccupazione manifestata dalla Santa Sede (espressa con quegli aggettivi “pericoloso e controproducente” che tanto scalpore hanno destato) non è affatto quella che l’introduzione dei PACS mini da un punto di vista morale l’istituzione del matrimonio, bensì che l’estensione delle tutele a forme di famiglia diverse finisca per sottrarre risorse alle famiglie che si fondano sul matrimonio.
La Chiesa pretende, in sintesi, che debba permanere ben saldo il principio secondo il quale il diritto alla pensione di reversibilità o alla casa, ad esempio, devono essere appannaggio esclusivo delle giovani coppie che contraggono matrimonio, le uniche che per la morale cattolica debbano essere aiutate. D’altronde, il Papa si limita a chiedere che venga rispettata la stessa Costituzione italiana, la quale prevede che oggetto delle politiche di sostegno sia la famiglia (ed ecco perché il gran canaio su cosa sia famiglia vera e cosa sia famiglia deviata) e che si ha famiglia solo quando c’è matrimonio. Con le scorciatoie tipiche dei nostri tempi, allora, si è parlato (e fatto) di matrimoni gay, verso cui la Chiesa ha tutto il diritto di levare i propri possenti scudi. Il matrimonio, antropologicamente prima ancora che religiosamente, è l’unione di un uomo e una donna.
E allora? La soluzione, a mio modesto modo di vedere la cosa, è rompere anche nella Costituzione (visto che nella società già è così da anni) la corrispondenza biunivoca tra matrimonio e famiglia. Io farei addirittura un disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare con cui aggiornare l’articolo 29, scrivendo “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio e sulle altre forme di unione civile previste dalla legge”. Mi piacerebbe che l’iniziativa fosse popolare, perché una Costituzione descrive il patto della società che essa governa e le unioni di fatto (senza specificarne sesso e direzioni) superano già oggi di gran lunga per numero quelle matrimoniali. Questo non significa che l’istituto morale del matrimonio è in crisi. Significa piuttosto che l’istituto civile (le norme che regolano la convivenza tra due persone) non è più in grado di soddisfare le esigenze di due cittadini che scelgono di passare insieme un pezzo o tutta la propria vita. L’unica articolazione del “patto” tra due cittadini che vogliono costituire una famiglia è oggi la scelta tra comunione e separazione dei beni.
Tutto il dibattito sui PACS nasce non solo dall’esigenza, per me comunque insopprimibile, di dare reale sostanza all’uguaglianza formale dei diritti a tutti i cittadini (a prescindere dalle loro scelte sessuali ed affettive), ma anche dalla domanda (che viene soprattutto degli eterosessuali) di una declinazione del concetto di famiglia meno rigido di quello descritto dal matrimonio civile.
Tutto questo detto, ricordo sempre che all’articolo 7 la nostra Costituzione dice che “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.”
In cambio di questa separazione, di questa rinuncia ad interferire negli affari politici dello Stato italiano (e la definizione dei rapporti giuridici tra cittadini che scelgono di vivere insieme rientra sicuramente nella categoria), versiamo allo Stato Città del Vaticano il tanto noto ottopermille.
Mi farebbe piacere una maggiore continenza papale.
La Chiesa pretende, in sintesi, che debba permanere ben saldo il principio secondo il quale il diritto alla pensione di reversibilità o alla casa, ad esempio, devono essere appannaggio esclusivo delle giovani coppie che contraggono matrimonio, le uniche che per la morale cattolica debbano essere aiutate. D’altronde, il Papa si limita a chiedere che venga rispettata la stessa Costituzione italiana, la quale prevede che oggetto delle politiche di sostegno sia la famiglia (ed ecco perché il gran canaio su cosa sia famiglia vera e cosa sia famiglia deviata) e che si ha famiglia solo quando c’è matrimonio. Con le scorciatoie tipiche dei nostri tempi, allora, si è parlato (e fatto) di matrimoni gay, verso cui la Chiesa ha tutto il diritto di levare i propri possenti scudi. Il matrimonio, antropologicamente prima ancora che religiosamente, è l’unione di un uomo e una donna.
E allora? La soluzione, a mio modesto modo di vedere la cosa, è rompere anche nella Costituzione (visto che nella società già è così da anni) la corrispondenza biunivoca tra matrimonio e famiglia. Io farei addirittura un disegno di legge costituzionale di iniziativa popolare con cui aggiornare l’articolo 29, scrivendo “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio e sulle altre forme di unione civile previste dalla legge”. Mi piacerebbe che l’iniziativa fosse popolare, perché una Costituzione descrive il patto della società che essa governa e le unioni di fatto (senza specificarne sesso e direzioni) superano già oggi di gran lunga per numero quelle matrimoniali. Questo non significa che l’istituto morale del matrimonio è in crisi. Significa piuttosto che l’istituto civile (le norme che regolano la convivenza tra due persone) non è più in grado di soddisfare le esigenze di due cittadini che scelgono di passare insieme un pezzo o tutta la propria vita. L’unica articolazione del “patto” tra due cittadini che vogliono costituire una famiglia è oggi la scelta tra comunione e separazione dei beni.
Tutto il dibattito sui PACS nasce non solo dall’esigenza, per me comunque insopprimibile, di dare reale sostanza all’uguaglianza formale dei diritti a tutti i cittadini (a prescindere dalle loro scelte sessuali ed affettive), ma anche dalla domanda (che viene soprattutto degli eterosessuali) di una declinazione del concetto di famiglia meno rigido di quello descritto dal matrimonio civile.
Tutto questo detto, ricordo sempre che all’articolo 7 la nostra Costituzione dice che “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.”
In cambio di questa separazione, di questa rinuncia ad interferire negli affari politici dello Stato italiano (e la definizione dei rapporti giuridici tra cittadini che scelgono di vivere insieme rientra sicuramente nella categoria), versiamo allo Stato Città del Vaticano il tanto noto ottopermille.
Mi farebbe piacere una maggiore continenza papale.
4 Comments:
Io sono stata parte di una coppia di fatto per 20 anni, e, come ho già avuto occasione di dire, ho cominciato allora a sentir parlare di una legge che ne regolamentasse i diritti e i doveri .... ancora ne sento parlare ma non vedo luce...
A.
12 gennaio, 2007 16:21
Sono cattolica e soffro molto le interferenze della Chiesa nelle istituzioni civili.
Sono convinta che le paure di riconoscimenti a unioni omosessuali stiano offuscando la realtà di altre modalità di "pacs" che potrebbero venire in aiuto alle coppie di anziani che convivono perchè con una sola pensione non ce la fanno e non hanno altri che si occupino di loro (ad esempio).
Non so se sia un problema economico, o più la paura di perdere ascendente... ma così facendo stanno solo allontanando la gente dalle chiese.
Penso che il risultato sarà che ci saranno i PACS (spero) e sempre meno gente si avvicinerà alla chiesa... e non posso biasimarli.
La fede non può essere il discriminante che permetta a qualcuno di giudicare e impedire agli altri di vivere, onestamente, la propria vita.
Va beh, confusionaria come al solito!
CIAO
12 gennaio, 2007 17:45
Ci sono cose su cui bisogna fare ordine: prima di tutto i pacs sono una questione dello Stato, la Chiesa può anche dare il proprio parere ma la legge nazionale è un'altra cosa.
Ma il cuore del discorso secondo me è che bisogna distinguere bene 2 questioni che invece tu intrecci: quella dei diritti delle coppie di fatto e quella dei requisiti per accedere al matrimonio o ai pacs. Il matrimonio, in senso civile, è un contratto, con il quale una persona assume diritti e doveri che sono anche, se non soprattutto economici. La società italiana si fonda sul matrimonio perchè questo crea una ragnatela di responsabilità in cui tante persone sono responsabili per tante altre. Questo regge la società. Io sono assolutamente contrario a concedere diritti alle coppie di fatto, almeno alle coppie che possono sposarsi. Sono invece favorevole ai pacs, con i quali si possono trovare formule contrattuali diverse dal matrimonio, ma che sono comunque assunzioni di responsabilità nei confronti di un'altra persona e dunque di tutta la società, oltre che dimostrazioni d'amore. In sintesi sono contrario a concedere diritti a chi non vuole assumersi i corrispondenti doveri, mentre vorrei maggiori possibilità per chi tali oneri vuole assumerseli ma non gli viene concesso. Paul Cardin
16 gennaio, 2007 14:54
L'incontinenza, verbale e fisica, è una prerogativa degli anziani. Ma avrei paura anche di un papa giovane. Anzi, ho paura e basta di questo secolo.
11 marzo, 2007 11:19
Posta un commento
<< Home