"Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti." "Avanza qualcosa?" "Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io."

lunedì, ottobre 15, 2007

EU-27

Aeroporto Baneasa di Bucarest. Lui avrà avuto vent’anni, lei sedici. Erano di fronte al gabbiotto del controllo passaporti. Io, lì, ero una nota stonata, vestito da consulente in trasferta. Lui la stringeva e la guardava negli occhi, i suoi palmi esasperatamente distesi, perché lei sentisse di essere contenuta tutta dal suo abbraccio (comunque incapace di impedire le lacrime di lei). Un addio, chiaramente. Una voce svelta, secca chiama il volo per Napoli e lui si incammina, come guidato da una forza inesorabile, verso il suo viaggio. Lei resta a guardare le sue spalle, con le braccia talmente conserte da abbracciarsi, di fatto, da sola, attendendo che lui si volti ancora una volta, in una teoria di ennesimi ultimi sguardi carichi di mestizia. Poi, il ragazzo consegna il passaporto al poliziotto e da lì in poi saranno solo ricordi. Lei resta sui suoi piedi per un po’, come se aspettasse di vederlo tornare indietro. Poi si arrende, gira i tacchi e va via, i lucciconi asciugati con la manica della giacca a vento. Lei a Bucarest e lui verso un futuro (?) da probabile prossimo caduto del lavoro nero in un cantiere campano della civilissima Italia.
Chiamano anche il mio volo. È pieno. Nelle prime file ci sono quattro bambini piccoli che piangono, forse per la paura dell’aereo. Due di loro sono accompagnati da quelle che sembrano le rispettive famiglie. Gli altri due bambini sono di colore, accompagnati da due giovani donne rumene, una delle quali certamente di etnia rom. Non posso fare a meno di fare pensieri forse razzisti o comunque esclusivamente fondati sul pregiudizio. Durante il volo i bambini si placano. Con uno di loro – bellissimo – iniziamo a giocare a distanza, nascondendoci reciprocamente agli sguardi dell’altro.
In fondo all’aereo ci sono due ragazze rumene, che nella sala d’attesa sedevano accanto a me. Non sono belle, ma vistose: una, piena di capelli ricci e rossi, aveva la sua foto in topless sullo schermo gigante di un telefonino dal quale sparava sms a velocità fotonica; l’altra, più minuta, orgogliosamente sfoggiando una scollatura generosa, calzava degli zatteroni di almeno 15 cm di tacco, interamente rivestiti di stoffa con disegno militare mimetico. Le accompagnava un italiano sulla sessantina, che al momento del controllo dei passaporti ha sussurrato qualcosa a un ufficiale rumeno, sulle prime perplesso. Si vede che l'italiano aveva padronanza della lingua. Insomma, tutti a bordo.
Aeroporto di Roma Fiumicino. Il bus che porta dall’aereo all’aerostazione ci ha lasciati di fronte ad un ingresso secondario del terminal, dove siamo stati, stranamente, di nuovo costretti alle procedure di sicurezza: metal detector, controllo liquidi, nastro per il controllo del bagaglio a mano. Poi, ancora una volta il controllo dei passaporti. Mi hanno spiegato che si tratta di una procedura standard per tutti i voli provenienti dalla Romania.
Ma non eravamo tutti nell’UE?
Come che sia, tutti i cittadini rumeni al loro primo ingresso nel Belpaese sono stati gentilmente (ma decisamente) invitati a lasciare le proprie impronte digitali nell’adiacente ufficio di polizia aeroportuale. Le porte erano aperte e tutti noi potevamo vedere quanto stesse accadendo. Ebbene, con mia ingenua sorpresa, sono state poste in stato di fermo non le due ragazze che accompagnavano i bimbi di colore, ma le due allegre famigliole. Vedi i pregiudizi talvolta come sono fuorvianti…
Intanto, quando le due ragazze rumene si sono accostate al gabbiotto del controllo passaporti, di nuovo l’italiano accompagnatore si è avvicinato loro. Il nostro fido guardiano di frontiera, inizialmente molto accigliato, ha concluso il proprio scrupoloso esame, chiedendo alle due se avessero già un’idea su come passare la serata. Tutti sorridevano molto.

Mi sono dato il bentornato a casa.