Terzo stato di coscienza
Tutto ciò che l’uomo vedeva era un puntino bianco, lontano, al centro di uno sconfinato mare nero. In un silenzio assoluto, forzava se stesso a fissare quell’unica diversità, quell’unico segno. Più il suo sguardo si concentrava sulla piccola macchia di luce, quasi a volerla inchiodare, più questa sembrava danzare, sinuosamente sottraendosi a quello sciocco tentativo di dominio. Anzi, beffardamente, il puntino sembrava pulsare, i suoi contorni smarginarsi, manifestando con baldanza il proprio libero arbitrio. L’uomo non avrebbe saputo dire dove si trovasse, né come fosse finito lì. Provava sensazioni attutite, come se la sua coscienza fosse interamente avvolta da una bambagia lanuginosa che gli rendeva difficili sia la percezione, sia il ragionamento. Poteva soltanto mettere in fila pensieri elementari, senza però riuscire a stabilire alcun collegamento logico tra di essi: “Ho la gola secca… Senti come raspano sul palato le papille in fondo alla lingua … Ho la saliva molto amara… Il sangue mi pulsa alle tempie e sui polsi…”.
Con gli occhi continuava a seguire il puntino, che gli pareva ora più grande e più vicino. Ebbe desiderio di tendere la propria mano verso l’ondivaga macchiolina chiara, a misurare la distanza fisica che lo separava da essa. Il cervello aveva trasmesso l’impulso nervoso, ne era certo, perché la spalla aveva lievemente sussultato, ma l’arto, ostinato, rimaneva immoto, parallelo al corpo. Sorpreso, realizzò di non riuscire a vedere il proprio braccio, perché, si accorse, si trovava sdraiato sulla propria schiena. “E poi” - si disse – “è buio.”
Provò a muovere le dita della mano ed inviò impulsi al pollice, al mignolo e poi a tutte le dita insieme. Non seppe dire se ne avesse mossa una, due oppure tutte. Non sapeva quale sensazione corrispondesse alla certezza di aver mosso le dita della mano. Non sapeva neppure se avesse una mano. Le deboli istruzioni che il suo cervello mandava si perdevano da qualche parte a metà strada, senza la forza di arrivare a destinazione. La bocca disegnò un tenue sorriso.
Tornò a concentrarsi sul puntino, anzi su quello che ora era un grande disco luminoso a pochi centimetri dal suo viso. Provò a cercare la sua immagine riflessa sulla superficie bianca. Vedeva, invece, solo luce. Percepì dolergli il nervo ottico, fisicamente colpito dal bagliore troppo intenso. Avvertì il dolore risalirgli dentro la testa, fortissimo, quale mai aveva provato in vita sua. Serrò i denti fino a romperli e sentì del liquido caldo uscirgli dalle orecchie. Gli venne alle narici un odore di rosa.
Con gli occhi continuava a seguire il puntino, che gli pareva ora più grande e più vicino. Ebbe desiderio di tendere la propria mano verso l’ondivaga macchiolina chiara, a misurare la distanza fisica che lo separava da essa. Il cervello aveva trasmesso l’impulso nervoso, ne era certo, perché la spalla aveva lievemente sussultato, ma l’arto, ostinato, rimaneva immoto, parallelo al corpo. Sorpreso, realizzò di non riuscire a vedere il proprio braccio, perché, si accorse, si trovava sdraiato sulla propria schiena. “E poi” - si disse – “è buio.”
Provò a muovere le dita della mano ed inviò impulsi al pollice, al mignolo e poi a tutte le dita insieme. Non seppe dire se ne avesse mossa una, due oppure tutte. Non sapeva quale sensazione corrispondesse alla certezza di aver mosso le dita della mano. Non sapeva neppure se avesse una mano. Le deboli istruzioni che il suo cervello mandava si perdevano da qualche parte a metà strada, senza la forza di arrivare a destinazione. La bocca disegnò un tenue sorriso.
Tornò a concentrarsi sul puntino, anzi su quello che ora era un grande disco luminoso a pochi centimetri dal suo viso. Provò a cercare la sua immagine riflessa sulla superficie bianca. Vedeva, invece, solo luce. Percepì dolergli il nervo ottico, fisicamente colpito dal bagliore troppo intenso. Avvertì il dolore risalirgli dentro la testa, fortissimo, quale mai aveva provato in vita sua. Serrò i denti fino a romperli e sentì del liquido caldo uscirgli dalle orecchie. Gli venne alle narici un odore di rosa.
Poi basta.
2 Comments:
Forse il buio, in alcune occasioni, può essere più sicuro che stare alla luce?
Dovrò rileggerlo ancora per rispondere a questa incognita che a volte mi appartiene...
Ciao
03 febbraio, 2009 00:26
Molto oscuro e 'crudo' questo post, quasi a voler sottolineare una situazione in cui l'uomo è assolutamente impotente di fronte all'impossibilità di arrivare alla luce, alla conoscenza meta della sua vita...
Sebbene troppo a mio avviso negativa, questa metafora possiede il suo consolidato fondo di verità!
HBK
09 febbraio, 2009 14:59
Posta un commento
<< Home