"Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti." "Avanza qualcosa?" "Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io."

mercoledì, dicembre 08, 2010

Long time no see

La letteratura d’ogni genere e livello è popolata di personaggi (quasi sempre si tratta in verità di giovani fanciulle) che dolori troppo forti hanno resi muti, reclusi in un recinto dell’anima, protetti da silenzi invalicabili. Sono persone gentili e spezzate, non più desiderose (o interessate o semplicemente capaci) di far sì che una parte di sé - un pensiero, un’emozione - sia condivisa con altri. È condizione assai misera, tanto che verso questi personaggi il lettore prova immediatamente un sentimento di simpatia.
Persone così non abitano esclusivamente i romanzi. Non sono uno psicologo e non so, perciò, individuare con certezza le ragioni per le quali ci si autoesclude dal consesso dei propri simili.
Ci si difende da possibili future nuove sofferenze? Si vuole punire gli altri con il proprio sdegnato rifiuto? È la consunzione di ogni fiducia nella forza e nell’utilità della parola? O, invece, è una forte paura di se stessi e delle proprie pulsioni che porta a rinchiudersi in sé? Forse tutte queste cose assieme. Ripeto, non lo so.
So solo che oggi scrivo su questo blog dopo più di tredici mesi di silenzio. Di esso, in questo lungo periodo, ho ovviamente cercato di capire le ragioni. Ne ho trovate più d’una e ognuna di esse contiene senz’altro una parte di verità.
Di certo l’intensità delle mie giornate (come di quelle di tutti coloro che lavorano e cercano di non lasciare che il lavoro sia il dominus incontrastato della propria vita) non mi consente di far sedimentare tutte le informazioni che pure con fatica cerco di mettere insieme. Si scrive senz’altro ciò che si è pensato e l’esercizio del pensiero richiede tempo e, soprattutto, forza. A volte mi sembra di essere su un treno a guardare il mondo che scorre svelto dal finestrino: vedi una casa e subito dopo un albero, ma di quella casa e di quell’albero sai dire soltanto che essi sono una casa e un albero.
Sono anche stato tentato di credere che questa lunga interruzione delle mie trasmissioni si dovesse alla sensazione (niente affatto gradevole) d’aver già detto molto, se non tutto, e che scrivere nuovamente significasse tutt’al più ribadire - magari meglio, con nuovi argomenti e nuovi esempi - gli stessi contenuti.
È scoraggiante, spesso, rendersi conto di non aver niente da dire.
Se, come dissi nel primo post di quasi cinque anni fa, questo blog è stato aperto in omaggio alle piccole mistificazioni, ebbene ho tenuto ferma la barra con insospettabile coerenza, perché in verità il mio silenzio non si deve alla mancanza di tempo o di argomenti. Quelle ragioni (pur fondate) sono state solo il modo sottile con cui ho provato a sedare l’inquietudine che mi provocava non avvertire alcuna voglia di comunicare.
Credo, invece, di non aver più scritto per mancanza di coraggio.
L’odio è un sentimento che non mi concedo. Ho sempre cercato di non odiare mai nessuno, fin qui – credo – riuscendoci. Non sono invidioso, né della fortuna, né della bravura altrui. Ho cercato di concentrarmi molto su quanto posso e so fare io. Sono profondamente convinto che far le cose al proprio meglio sia in sé un obiettivo e un risultato nella vita. Sono anche aperto e fiducioso verso il prossimo, credo che la biodiversità sia una ricchezza per l’uomo prima ancora che per l’ambiente e ancora confido – come ricorda ogni tanto Ivano Fossati – che il buon senso possa salvarci da tutto e tutti.
In quest’ultimo anno, però, non ho avuto il coraggio di accettare che se avessi scritto – che so – della vicenda di Adro, non sarei stato più capace di prendermi in giro e liquidare la vicenda con la solita, facile, magari veemente, intemerata contro le mattane leghiste. Ho avuto paura di scrivere la verità e cioè che io questa stupidità, ormai, la odio.
Io odio questa gente che costringe gli altri a misurarsi con la loro stupidità.
Se le famiglie della vicenda di Sarah Scazzi o le gemelle Cappa del delitto di Garlasco che, rivelando una pochezza umana che non si può neppure raccontare, non hanno avuto alcuno scrupolo a strumentalizzare le loro stesse vittime per un po’ di felicità mediatica, mi fanno pena (non pietà), quelli che, morbosi, stanno davanti alla televisione a guardare questa gente raccontare, piangere, incolparsi a vicenda, io, ormai, li odio. Non è che li disprezzo. Li odio proprio.
Io odio quelli che, di fronte ad un qualsiasi argomento, dicono che “però hanno cominciato quelli dell’altra parte”. Non sono più disposto ad accettare questo pressappochismo umano, l’indifferenza assoluta verso tutto ciò che non sia interesse immediato e personale, l’incapacità di considerare l’esistenza di tutto ciò che è altro da sé.
Mi sento invaso da gente diversa da me, che non ha alcun rispetto per il modo in cui penso e vivo. Io, finalmente l’ho capito, questa gente ho iniziato ad odiarla. Ho capito e mi sono disprezzato.
È questo che non volevo vedere di me. È il coraggio di sapermi abitato dall’odio che mi è mancato fin qui. È questo il cancro che non volevo sputare fuori dalla bocca e che mi sono tenuto dentro assieme alle parole.

7 Comments:

Anonymous Cinzia said...

Felice di leggere/sapere che hai mollato la presa - finalmente. Il ciclo nutrimento-evacuazione non è, non può essere, un concetto puramente biologico. Il tuo odio - che è anche il mio, che è anche di molti - è terrificante ma sano. Di questo sono certa. Un caro saluto my friend.

08 dicembre, 2010 15:07

 
Anonymous Anonimo said...

Odio anche io, ma come disprezzo per tutto ciò che è male e viene considerato la normalità: ogni volta che mi sento dire "bisogna farci l'abitudine", penso sempre con sollievo che non mi ci abituerò mai.

Manbass

09 dicembre, 2010 14:11

 
Anonymous Anonimo said...

Caro Lorloc,
i nomi, i titoli e le etichette hanno sempre il seme del destino al loro interno. Ed è infatti nel VENTRE che nasce e cova il tipo di odio che qui tu descrivi. L'odio generato dal disgusto, dal disprezzo che provoca l'alieno. L'alieno, il barbaro come lo avrebbero chiamato i Greci, venera divinità diverse dalle tue, ha costumi meno civilizzati, non ama le arti evolute, la sua musica rende poche variazioni sul ritmo dei tamburi. Non capisce il linguaggio colto, ma sbiascica poche parole disarticolate. Non c’è comunicazione con l’alieno e la convivenza è difficile, anzi impossibile perché il barbaro è aggressivo e tende a fagocitarti o più semplicemente ad annientarti. Il fatto che il barbaro abbia la tua stessa nazionalità e le tue stesse origini non cambia il punto. Presto sarai in netta minoranza ed allora sarai solo tu ad essere l’alieno e dovrai nasconderti per non perire. L’odio che provi è solo istinto di sopravvivenza, un istinto che prende alle viscere, al VENTRE.
I cristiani direbbero che questo tuo odio è un peccato di cui chiedere perdono, istradandoti alla via dell’amore, della comprensione e della ricerca del dialogo a guisa dei prima missionari, morti tutti martiri.
Gli eruditi laici semplicemente classificherebbero il tuo odio come chiara espressione della tua volontà di esistenza ed affermazione. Dove sta la ragione? Non lo so.
Un sentimento simile al tuo ma diretto verso un alieno di natura diversa mi spinge sempre di più a fuggire da questo paese, per evitare di perire e salvare la mia esistenza e quella della mia famiglia.

Il minatore.

10 dicembre, 2010 11:01

 
Anonymous Anonimo said...

Caro Lorenzo,
se "odiare" è affermare a se stessi il rispetto intransigente di certi valori, anche a rischio di farsi male da soli, è una scelta che ho fatto da tempo. La cosa che mi colpisce è che tutti si sentono eroi, tutti si vedono pieni di sentimento, di amore per gli altri, di comprensione, di buon senso, di educazione, di senso civico, insomma si dipingono con molte qualità... ma se tutti schifano chi parcheggia in doppia fila e vorrebbero scappare dall'Italia perché fuori non succede, di chi sono quelle auto che vedo dalla finestra?
Poco tempo fa volevo fare gli auguri a Massimiliano per la paternità ed ho scoperto che mi aveva addirittura tolto l'amicizia su Facebook, probabilmente perchè avevo scritto cose che mettevano in dubbio la sua santità. E' difficile nuotare controcorrente e pensare che l'amore per il prossimo, reale e non solo annunciato, possa prevalere nei comportamenti delle persone. E' quasi impossibile che qualcuno, anche gli amici che credevi più cari, possano mettere in pausa la loro frenetica vita, anche solo per un istante, per venire a rivedere da vicino la tua anima. E' difficile che qualcuno abbia tempo per mettersi in dubbio e riscoprire l'amore che prescinde dal proprio ego. E' colpa dell'Italia? E' colpa dei tempi? Non lo so, io credo che la colpa sia sempre delle persone. Paolo

10 dicembre, 2010 13:25

 
Anonymous Anonimo said...

Ciao Paolo,
hai espresso anche il mio concetto e mi accodo a te quando sottolinei in modo chiaro la differenza tra fare e essere, tra dire e agire.
Anche io come Lory disprezzo color che si nutrono e vanno alla ricerca della parte torbida e disgustosa della natura umana cercando di dimostrare che è un azione tesa a cercare la purezza e la giustizia. Al contempo e per lo stesso motivo non comprendo e non riesco ad accettare (quindi a rimanere in silenzio) di fronte a quelle persone che facilmente utilizzano fatti periferici e piccole minuzie per esprimere, costruire, sviluppare ed esaltare momenti e frasi di puro razzismo perpetuando la falsa maschera dell'uomo puro, della bontà, della comprensione (parola ormai prostituita a qualsiasi bocca e contesto). Quello che credo è che la giustizia non è nelle mani di un uomo solo e chi si arroga il diritto di posserla è il più grande dei tiranni, materiali o dell'anima poco importa.
Questa è una parte scura dei tempi di oggi per fortuna c'è anche tutto il resto.

Lucia

11 dicembre, 2010 09:40

 
Anonymous Anonimo said...

odiamo, parliamo, pensiamo, guardiamo con disprezzo e talvolta timore tutto questo...
Ma poi cosa facciamo?

04 gennaio, 2011 13:39

 
Anonymous Claire said...

Fossi in te continuerei a scrivere. Fai pensare, anche quando indisponi.

18 maggio, 2011 14:23

 

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