"Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti." "Avanza qualcosa?" "Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io."

sabato, gennaio 05, 2008

In vino veritas

Stiamo, credo tutti a fatica, uscendo dal periodo delle feste comandate. Manca solo la Befana e poi potremo rimettere in cantina fino al prossimo otto dicembre l’albero di Natale (con tutte le palline), il presepe (con le statuine ogni anno sempre più sbreccate) e l’angoscia per pranzi, regali e parenti.
Giorni fa, agli inizi della kermesse natalizia, ero a comprare un po’ di vino all’enoteca in cui sono solito servirmi. Oltre alle tante etichette, il bravo Alessandro B. m’offre anche il suo piacere di far quattro chiacchiere, sul vino e non solo. Da un po’ di tempo compro quasi esclusivamente i vini cosiddetti “naturali”, ovvero prodotti secondo una metodologia che ha come priorità il rispetto del territorio. Essi sono frutto di coltivazioni non intensive (cioè a bassa resa per ettaro) e vengono ottenuti tramite tecniche di vinificazione tradizionali, senza l’uso di additivi. Il risultato è un vino inusuale, spesso spigoloso, dato che le sue caratteristiche più forti non sono in alcun modo smussate. Inoltre, proprio per l’assenza di stabilizzatori chimici, può anche esserci una grande variabilità nella qualità del vino, da bottiglia a bottiglia. Si tratta, riflettevamo con Alessandro, di vini difficilmente adatti al mercato di oggi. Il marketing pretende immediata riconoscibilità, alti margini di profitto, facilità di consumo, elevata standardizzazione. Vini tutti identici per consumatori tutti identici. La sola cosa che veramente conta è la quantità che si riesce a vendere, mentre la qualità è solo quella necessaria a fare la quantità.
È così ormai quasi per tutto. Lasciando da parte le considerazioni politiche (ad esempio se sia giusto o meno questo sistema economico, che premia quasi esclusivamente le proprietà), c’è un’altra questione, secondo me ormai ineludibile: questo capitalismo (iperconsumistico e globalizzato) e, soprattutto, il marketing – che del sistema è insieme guardia e cannone – producono infelicità prima ancora che ricchezza. Questa è una riflessione che non vogliamo fare e che ci pesa. Preferiamo assistere in TV (con sempre minore partecipazione) al racconto di tragedie familiari, che, pur se ormai frequentissime, continuiamo a dire imprevedibili e inspiegabili.
Al fondo di tutto, temo ci sia proprio l’ormai completamente avvenuta sovrapposizione di ciò che si è con ciò che si ha. Vogliamo soldi, potere, carriera per mostrare al mondo il nostro valore, nella speranza che gli altri, riconoscendolo in quelle cose, finalmente ci spieghino quanto davvero valiamo. Tutto è ormai genere di consumo, anche (e forse soprattutto) i rapporti personali. Alla radio, in questi giorni, si sente la réclame di una concessionaria di auto che, per invogliare i futuri clienti a comprare a rate una delle loro costosissime macchine, ha realizzato uno spot fatto più o meno così: una ragazza, con voce da Lolita in vena di capricci, fa: “Lo voglio, lo voglio, lo voglio, lo voglio… Subito!”. Il ragazzo, in un tono eccitato da adolescente devastato dall’acne masturbatoria, risponde pronto, speranzoso ed allusivo: “Lo vuoi? Eccomi”. A quel punto Lolita, immagino alzando distrattamente un sopracciglio, dice: “Ma chi? Tu? Io parlavo del…” e nomina un suv di ultima generazione, a cui daremo qui il nome fittizio di Baracca. Stacco musicale, poi uno speaker dà lettura del piano rateale che consentirebbe al giovane di possedere finalmente non la macchina, ma Lolita. Chiusura dello spot affidata a lui che, ammiccando a lei, a noi, a tutti, dice: “Nuova Baracca! E così magari….”.

- “Signori, è stato un onore suonare con voi stasera.”