"Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti." "Avanza qualcosa?" "Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io."

mercoledì, dicembre 24, 2008

Cin cin

Si è discusso il caso di Eluana Englaro (e di suo padre Beppe) ben oltre il limite dell’umana pietà e, probabilmente, oltre quello della decenza. Immagino che la nostra invadenza (nostra in quanto pubblico pagante del circo dell’informazione) in una storia di assoluta sofferenza, rimasta lontano da qualsiasi clamore per più di quindici anni e poi finita sotto i riflettori del dibattito politico-istituzionale, sia per la famiglia della ragazza di Lecco difficile da sopportare tanto quanto il pensiero di una morte innaturalmente desiderata, che giunga, infine, come requie, riposo, silenzio. Quanto maggior rispetto si dovrebbe invece osservare nei confronti del coraggio straordinario di chi, pur fiaccato dal dover assistere ogni giorno per anni ad una morte in continue piccole dosi (e non credo ci si possa mai mitridatizzare a questo), per compiere l’estremo atto d’amore verso una figlia, ha avuto la forza di sfidare la politicizzazione della propria sofferenza!
Dopo la pronuncia della magistratura che, nel rispetto della volontà che Eluana aveva precedentemente manifestato nella pienezza delle sue facoltà, ha autorizzato la sospensione dell’alimentazione forzata, si sono aperti non uno, ma due fronti di scontro ideologico, assoluto e violento. Secondo abitudine, gli italiani hanno avuto il piacere di schierarsi con vigore secondo le proprie convinzioni, mostrandosi però al contempo incapaci del benché minimo rispetto del dolore altrui. A dividere la platea non è soltanto il tema della misura del diritto all’autodeterminazione, ovvero del se e in che misura a ciascuno di noi possa rivendicare le facoltà di un vero e proprio “diritto di proprietà” sulla propria vita. Sappiamo benissimo come il dibattito nel Paese su temi di questa natura finisca per essere fortemente influenzato dal ruolo che la Chiesa esercita nella vita pubblica e nella politica italiana, rispetto alla quale il Vaticano oggi può vantare (e di fatto fa pesare) una sorta di golden share riconosciutagli da entrambi gli schieramenti. In questo senso, la vicenda di Eluana è solo l’ultima di una lunga teoria di questioni sulle quali la Chiesa ha con forza preteso di far valere le proprie ragioni (testamento biologico, diritti dei conviventi, utilizzo delle cellule staminali per fini di ricerca, fecondazione assistita solo per citare le prime che vengono alla mente).
Ma il caso degli Englaro è stato cooptato anche nella polemica di strettissima attualità che ha ad oggetto i rapporti tra magistratura e politica. La querelle che vede da tempo opposti i giudici ai politici verte principalmente sul seguente dibattito: è preminente il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge oppure quello secondo il quale un parlamentare votato dagli Italiani deve godere di una tutela eccezionale perché possa espletare senza condizionamenti di sorta il suo compito di rappresentanza? La politica deve o non deve avere un ultimo grado di controllo sulle indagini promosse dai giudici nei suoi confronti? Il giudice risponde esclusivamente alla legge oppure anche ad altri organi dello Stato?
La legge, oggi, non regola esplicitamente il caso di Eluana, ovvero quello di un adulto caduto in stato di incoscienza permanente che abbia in passato manifestato in maniera libera ed inequivocabile la propria contrarietà ad essere mantenuto in vita artificialmente. Non c’è una previsione legislativa che dica a chi spetti, eventualmente, di dare corso a quella volontà individuale ovvero secondo quali modalità si debba procedere. Il giudice, allora, adito dai familiari della ragazza, ha colmato questo vuoto legislativo, arrivando, come peraltro la legge gli attribuisce facoltà e responsabilità di fare, ad una determinazione fondata sull’applicazione al caso concreto dei principi generali del nostro ordinamento. La richiesta di Beppe Englaro ha fatto sì che sia stata, di fatto, la magistratura, e non la politica, a regolamentare un tema dai risvolti etici tanto delicati qual è quello della misura del diritto all’autodeterminazione.
Nessuna pietà umana (prima ancora che cristiana) ha impedito nei giorni scorsi al Ministro Sacconi di andare apertamente contra legem e di minacciare esplicitamente le cliniche che eventualmente si dicessero disponibili ad ospitare Eluana perché sia data attuazione alla sentenza che permette di staccare i sondini tramite i quali la ragazza viene alimentata artificialmente. La presa di posizione dell’ex esponente socialista, da un lato, mira a riaffermare, anche funzionalmente alla disputa sull’autonomia della magistratura, una supremazia della politica nelle relazioni istituzionali, dall’altro si premura di preservare il consenso ed il credito che tanto generosamente le gerarchie vaticane hanno accordato a gran parte dell’odierna classe politica italiana.
Si sa che guardando all’infinitamente grande, ogni caso particolare scompare, mentre guardando all’infinitamente piccolo, qualsiasi regola generale perde significato. Nell’inevitabile relativizzazione di ogni verità, a cui siamo costretti dalla nostra natura e dalle nostre misere capacità, c’è una cosa però che penso si possa ritenere ormai oggettiva, certa, definitivamente acquisita: la pochezza, prima di tutto umana, di Sacconi. Oddio, non che questa piccola verità ci aiuti a campare meglio. Sacconi rappresenta, fortunatamente, pochissimo nelle nostre vite. Diciamo, però, che per chi è abbastanza frustrato dalla propria sostanziale incapacità di dare l’attributo di Vero ad alcunché, l’assoluta pochezza di Sacconi è una specie cordialino per brindare al nuovo anno.
Auguri.