"Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti." "Avanza qualcosa?" "Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io."

giovedì, aprile 23, 2009

Radici e terra

Da un paio di settimane ho un nuovo hobby, obbligatorio: il giardinaggio. Ho comprato una casa nuova e da meno di un mese vivo lì. Ora sono al piano terra ed ho due splendidi giardinetti, uno su un lato della casa, uno sull’altro. Il giardiniere che ha fatto il lavoro (benissimo, va detto) è stato categorico ed anche un po’ apocalittico nel tono:

- “Hai voluto il prato, il barbecue, i nani da giardino, eh? Le domeniche con gli amici? E adesso fatichi. Il prato va tagliato tutte le settimane e concimato ogni due mesi. Questo fino a maggio. Poi, quando fa caldo, va tagliato due, anche tre volte a settimana. Non tagliarlo troppo corto. E non lasciarlo crescere, se no si ingiallisce.”

A queste parole, pur se timidamente, ho tentato di obiettare almeno che detesto i nani da giardino. Lui però è stato implacabile:

- “D’estate, mi raccomando, ogni due, tre giorni. E ricorda: io ci tengo ai lavori che faccio, sicché fa’ che io non venga a sapere che ti si è ingiallito, diradato o spelacchiato il prato. Va bene?”

Credo d’avergli risposto “Signorsì, sissignore”, mentre usciva ghignando da casa mia.

Ho il pollice nero, da sempre, sin da quando, da bambini, le maestre delle elementari ci facevano mettere un fagiolo dentro lo Scottex bagnato, ci dicevano di chiuderlo nell’armadio della classe e di lasciarlo lì, al buio, per una settimana, quando poi sarebbero spuntate le radici e la nuova piantina sarebbe stata pronta per essere interrata. I miei fagioli marcivano sempre, immancabilmente. Forse perché, per il terrore che durante la settimana al buio gli mancasse acqua, inzuppavo completamente lo Scottex. O forse perché non resistevo a stare sette giorni senza sapere cosa stesse succedendo e andavo troppo presto a vedere cosa fosse accaduto al mio fagiolino.
Adesso ho un prato meravigliosamente verde, che curo con applicazione. Gli scherani del giardiniere sono arrivati una mattina con un camion pieno di tappeti arrotolati (almeno questo sembravano) ed hanno cominciato a stenderli nel mio giardino, fino a tappezzarlo completamente. Mi hanno spiegato che per un paio di settimane non avrei dovuto calpestarlo, perché il prato “cresce tanto sopra la terra, quanto sotto”. Mi dicevano che avrei dovuto dare il tempo alle radici del prato di innervare il terreno del mio giardino. Sono stato bravo, questa volta: non ho aperto l’armadio prima del tempo.
Ci siamo spostati tutti a casa nuova. Pensavo stamattina che anche noi stiamo mettendo radici bianche, tenere nel nostro nuovo giardino. Anche noi stiamo faticosamente trovando i nostri spazi nelle stanze, i nostri piccoli posti al sole. E come per il fagiolino nello Scottex e il tappeto erboso, anche per noi le prime settimane saranno delicate e ci sarà bisogno di lasciare che le cose abbiano il tempo di fare il proprio corso.
Ogni trasloco costringe chi si sposta ad un piccolo (o grande) autodafé. Sistemando le mie cose, ho riaperto scatole che erano rimaste chiuse sin da quando lasciai la casa dei miei genitori. A quel tempo, scelsi di portare con me il mio passato, come una lumaca si porta appresso la sua chiocciola, ovvero tenendomelo alle spalle, senza guardarlo mai. Stavolta, ho voluto invece vedere da cosa fosse ormai tempo di separarmi e, con mia piacevole sorpresa, sono stato capace di liberarmi di quasi metà dei simulacri che avevo voluto custodire.
Ancora di più sono rimasto stupito da ciò che invece ho voluto caramente tenere con me. Ho trovato, ad esempio, una quantità incredibile di lettere. Ne ho ricevute moltissime, centinaia, alcune di esse colme di parole meravigliose. Nel rileggerle, dopo così tanto tempo, ho provato un senso di inquietudine. La domanda che mi sono fatto, mentre mi rituffavo in persone, situazioni, ed emozioni che sono ormai superate, lontane è “Sarò stato capace di corrispondere a tutto l’affetto, a tutto l’amore che c’è qui dentro per me?”.
Ad esempio, ho trovato le lettere di una mia amichetta del mare, di quando avevamo dieci, dodici, forse tredici anni. Era una delle mie amicizie estive di Luglio. Ogni anno, con la sua famiglia, veniva da Napoli e stava l’intero mese in affitto in una casa vicina a quella dove io ho passato tutte intere le prime venti estati della mia vita. Bè, per tutti gli anni in cui ci siamo frequentati, finite le vacanze e tornati tutti a casa, mi scriveva da Settembre (quando ci si ridisponeva in modalità “invernale”) a Dicembre (immancabile il biglietto di Natale) delle lettere tenerissime, piene soltanto di vita quotidiana, di problemi di scuola, di amiche invidiose, di ragazzini molto carini. Quelle parole trasudavano soltanto voglia di ritrovarsi anche l’anno successivo.
Ho trovato alcune lettere di bambini, che mi scrivevano una volta rientrati nelle loro città, dopo aver passato qualche settimana nel villaggio vacanze in cui facevo il musicista. Alcune di esse mi hanno davvero emozionato: praticamente di nessuno di quei bambini ricordavo il nome e neppure il viso e quasi tutti, invece, mi chiedevano soltanto di non scordarmi di loro. Mi scrivevano riportando un sacco di aneddoti e dettagli della settimana in cui erano stati al villaggio, per essere certi che non li potessi confondere con altri bambini. Quasi tutti mettevano nella busta un disegno in cui avevano ritratto me e loro che ci salutavamo al momento della loro partenza.
Non so se io abbia davvero meritato tanto affetto. Sicuramente non ne sono stato all’altezza. Abitato da un senso di inadeguatezza, ho con cura ordinato tutte le parole che mi sono state regalate, riponendole, perché non si sciupassero, in buste trasparenti e plastificate. Le ho poi messe in una scatola di cartone molto bella, che è decorata interamente da righi musicali, fitti di note e pause.
E, vigliaccamente, le ho sepolte di nuovo in cantina, lontano dai miei occhi e dal mio cuore.