"Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti." "Avanza qualcosa?" "Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io."

lunedì, ottobre 26, 2009

Scelte sub-ottimali

Nelle scorse settimane, mi sono lungamente interrogato su quale fosse l’atteggiamento più giusto da tenere in queste primarie del Partito Democratico. Votare chi? Non votare per niente? Onestamente, stanti le delusioni cocenti (non ultima quella sulla mancata battaglia contro lo scudo fiscale) inanellate negli ultimi anni, la mia principale speranza era che esse fallissero, così che al PD non restasse che un'ultima, vera scelta strategica: l’auto-scioglimento.
Avevo fissato la soglia dell'insuccesso a un milione di persone. Ritenevo che, se i partecipanti alle primarie non avessero raggiunto quel limite minimo, la sola cosa da fare per i Democratici sarebbe stata quella di chiudere baracca e burattini e darsi a alla pesca d’altura.
Già alle 11.30, però, i votanti erano stati 900.000. Anche questa volta, con ogni probabilità, il PD non si sarebbe estinto.
Allora, metabolizzato che le flebili speranze dell'opposizione avrebbero continuato ad essere legate a questo partito e a queste persone, ho cercato di essere logico e razionale. Senz’altro, a quel punto, la cosa più utile sarebbe stata che i votanti fossero il maggior numero possibile. Così mi sono recato al mio gazebo elettorale.
Mi si è posto dunque il problema di capire cosa convenisse votare.
Da un lato, la necessità di squadernare la struttura di un partito ormai infestato da figure (sulla cui qualità ci sarebbe molto da discutere) che non hanno una forza sufficiente a dire qualcosa di sinistra, ma ne hanno una bastante ad impedire che lo facciano altri mi avrebbe spinto a votare Franceschini. Vero è che un tale squadernamento sarebbe passato necessariamente non solo per l’auspicabile distruzione dell’attuale classe dirigente, ma anche per quella della forma partito. Su questo, devo dire, ho le idee abbastanza chiare: il PD che verrà non sarebbe migliore se i prossimi quadri dirigenti uscissero dai social network come Facebook.
Dall'altro, l'esigenza di razionalizzare l'identità del PD mi spingeva a votare Bersani. La vittoria di quest'ultimo avrebbe senz'altro rappresentato un ritorno dell'asse identitario del PD verso i più coerenti lidi della Socialdemocrazia. Ad elezione del nuovo segretario avvenuta, credo che nei prossimi giorni alcuni cattolici papisti del PD, la Binetti, Enzo Carra, Rutelli (se cattolico lo si può definire), usciranno dal partito. Questo credo sia un bene, perché il PD ha finito per avere tutti gli svantaggi dell'Unione (l'eterogeneità), senza prenderne i vantaggi (l'ampiezza del consenso). Resta una mia perplessità di fondo sulla strategia di posizionamento che Bersani (e più di lui D'Alema) vogliono adottare. Non ho preclusioni ideologiche verso un accordo con l'UdC. Ho però dubbi sulla percorribilità di tale opzione. In un dopo-Berlusconi che tutti speriamo vicinissimo, credo che Casini ed ancora di più il suo elettorato troveranno sempre più naturale un accordo con Fini. Allora lo splendido PD socialdemocratico di Bersani sarà votato interamente all'opposizione permanente. Ora, sono tutt’altro che sicuro che la cosiddetta "vocazione maggioritaria" che ha spinto Veltroni ad andare da solo alle ultime elezioni fosse la via più giusta da percorrere, ma ho sin da ora la chiara percezione che contro una neo-balena bianca a firma Rutelli-Casini-Fini, questo PD non vincerà mai.

Con tutti questi dubbi, sono andato a votare.
Apro la scheda elettorale e trovo 4 liste (naturalmente bloccate) che sostengono 3 candidati: quella di Marino, quella di Bersani e... due di Franceschini. Due liste!? Dueee?!!!??
Triste, davvero triste, ho apposto una X sulla casella di Bersani.

Stamattina mi dicono che ho vinto le primarie.
Allora com'è che sento dentro la stessa vitalità di un organismo unicellulare?

giovedì, ottobre 08, 2009

Attriti

La sensazione di queste ore è simile a quella che ho provato quando la macchina alla cui guida mi ero addormentato, poggiata sul proprio tetto a scivolare, stridendo, per metri e metri, si è finalmente fermata.
Poi, ricordo il silenzio e le dita muoversi tutte. In bocca, avevo un sapore di asfalto, ferro e vetro a conferire fisicità e realtà a un’esperienza che altrimenti non mi sarebbe parsa un fatto.
Ho appena rischiato di morire, pensai, ed era tecnicamente vero.
Ricordo che mentre la terra stava sopra il cielo, aspettavo, inerme, che tutto finisse, troppo stordito per sperare che ci sarebbe stato un dopo, in cui tutte le cose mi sarebbero riapparse come le conoscevo. Poi, a un certo punto, quella corsa capovolta si è fermata.
La fisica, banalmente, parla di attrito.
Questi mesi, anzi questi ultimi anni della nostra vita pubblica mi hanno riportato a quell’abitacolo, quando ogni riferimento era perduto e guardarmi precipitare verso chissà dove era la sola cosa che sapessi fare. Ieri, finalmente, la corsa sul tetto si è di nuovo fermata e le cose sono tornate ad essere uguali a quelle di cui abbiamo sempre avuto esperienza.
La materia di cui sono fatte le nostre istituzioni è elastica ed atta ad essere tirata, piegata, in qualche caso addirittura plasmata, secondo convenienza. Esiste però un limite intrinseco, invalicabile per colui che voglia modellarla: quello imposto dalla natura stessa della materia. La carta (anche quella Costituzionale) si può comprimere, schiacciare, tenere appallottolata dentro un pugno ben serrato. Per quanto sia forte la pressione esercitata su di essa, però, i legami fra le cellule che ne compongono la struttura la porteranno comunque a riprendere di nuovo la sua forma originaria, naturale, non appena la stretta che la costringe verrà meno.
Certo, oggi, la nostra Carta è tutta spiegazzata ed è necessario avere cura che essa possa ridistendersi completamente, rendendo di nuovo facilissima a chiunque la lettura del suo messaggio. Di esso ieri è stato riaffermato un punto fondamentale: ogni cittadino, per quanto ricco, popolare, potente e prepotente egli sia, è uguale agli altri di fronte alla Legge.