"Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti." "Avanza qualcosa?" "Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io."

lunedì, settembre 29, 2014

Whitehead's illusion

Le cose cambiano. A questo stavo pensando, appena salito. Si è chiamato il Novecento il secolo breve, per la velocità con cui ha masticato e digerito guerre, regimi, crisi, democrazie, fatti, uomini e pensieri. È vero, è stato così: basti pensare alla Russia, che fino all'ottobre del 1917 era un ultimo scampolo di medioevo e che nel 1961 ha mandato il primo essere vivente nello spazio. Se avesse senso parlare di velocità di crociera della Storia, il Novecento ha messo un tigre nel motore e spinto a tavoletta, fino a mandare il mondo completamente fuori giri, come un cavallo che ha rotto l’andatura, una ghiera senza catena. Tutto oggi muta istantaneamente, per necessità, per obbligo, senza una vera corrispondenza tra una condizione attuale ed un'altra che, desiderata, giustifichi un cambiamento. Ogni cosa evolve ormai meccanicamente, con l’inerzia di una palla che scivola lungo un piano inclinato, senza che si riesca più a capire se ciò possa o invece debba accadere.
Pensavo tutto questo, perché non sentivo più odore di treno. Alzi la mano chi non ricorda quell'impasto inconfondibile di polvere, fumo e ferro che significa immediatamente treno. A tutti è rimasto nelle narici. Quel profumo non esiste più, a meno di non andarselo a ritrovare nelle toilette, anzi nelle ritirate.
Le carrozze di oggi sono cabine di aereo su strada ferrata: asettiche, fredde e densamente popolate. Quando costruiranno convogli ancora più tecnologici, ovattati, innovativi, perderemo anche quell'infinita sequenza di giambi a coppie (ta-tà, ta-tà… ta-tà, ta-tà… ta-tà, ta-tà…) che accompagna ed aiuta i nostri pensieri mentre viaggiamo.
Questo pensavo, sistemata la mia borsa di tela sul portabagagli trasparente e sedendomi al posto numero 51. Già, il posto non si sceglie. Ti viene assegnato già prima di iniziare il viaggio. Come nella vita, del resto: tu nasci e mica lo sai di chi sei figlio, in che posto ti tocca vivere e con chi ti tocca di fare gran parte della strada. A me è andata bene. Nella vita, intendo.
Su quel treno, invece, ancora non lo sapevo. Beh, avrei avuto diversi compagni quel giorno, visto che il mio viaggio sarebbe durato più di 8 ore. Ma sarà poi ancora giusto chiamarli compagni? È cambiato anche il modo di stare sul treno. L’individualismo del nostro tempo ha stravinto anche nel viaggio: un tempo erano chiacchiere ai limiti della molestia e panini con la frittata, scartati dalla stagnola, morsi e subito dopo offerti allo sconosciuto compagno di viaggio; oggi sono iPod ben calcati nelle orecchie, occhiali da sole anche d’inverno e telefoni attraverso cui accedere all'unico universo in cui si pensa di poter riuscire a sopravvivere.