"Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti." "Avanza qualcosa?" "Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io."

mercoledì, dicembre 14, 2005

Cicuta

C’è penombra qui. E un odore di vecchio. Non c’è più nessuno, ma l’odore è lo stesso di tanti anni fa, anzi è più forte. È la carta dei libri, la polvere sui mobili, nei tappeti. Vecchio. È tutto vecchio. Anche il silenzio è lo stesso di quando questa casa era abitata da un vecchio. Sarebbe sbagliato dire che qui tutto s’è fermato quando il vecchio è morto. Tutto, qui, era fermo già da tempo. Anzi, il tempo qui dentro segue una sua regolarità diversa. Scorre lentissimo, dilatato, immemore, incosciente. C’è un barattolo di caffè sul tavolo della cucina e un cucchiaino sporco. Nel bagno, un pettine con qualche capello bianco fra i denti giace sulla mensola. Ci sono due macchie ormai marrone scuro nel lavabo. Sul letto della stanza del vecchio, perfettamente fatto, è stesa una vestaglia aperta, che pare quasi offrirsi oscenamente. Sembra il simulacro di un cadavere in vena di malizie. Non riesco a sentire neppure i miei stessi passi. È un silenzio ingannevole, torpido. Questo luogo mi sta seducendo, mi cinge i fianchi e mi dona, lieve, al suo limbo innaturale, alla sua illusione di quiete. La mia mente è accarezzata dalla nenia di questo tempo e si lascia irretire dal desiderio di celebrare, mitemente, la propria autoestinzione. Pigramente, allungo una mano verso il comodino, su cui si trovano una candela ed una scatolina, che contiene un solo fiammifero. Lo uso per accendere la candela. Mi concentro, indolente, sulla fiamma, quasi questa sia l’unica residua curiosità che mi sia rimasto il desiderio di soddisfare. La candela genera un bagliore tanto debole da non aver la forza di riuscire ad allontanarsi dalla sua sorgente. Muovo la candela verso alcuni oggetti, un’agenda del 1967, con la copertina marrone, e un paio di occhiali da vicino, che scompaiono in un buio freddo, indistinto, non appena allontano da essi la piccola luce. Apro il cassetto del comodino. Ci sono dei fogli ingialliti, strappati da un quaderno, su cui qualcosa è stato scritto a matita. Avvicino il piccolo lume. Su tutti i fogli, qualcuno (il vecchio, probabilmente) ha tracciato lunghissime serie di linee brevi, orizzontali e verticali. È una scrittura minuta, indecifrabile. Li lascio cadere sul letto. Soffio sulla candela e sento il peso fisico del buio arrivarmi sulle spalle. Mi sento stanco, molto stanco e ogni passo è sempre più breve, inutile, faticoso. Ora è solo buio.
Mi fermo, definitivamente.

martedì, dicembre 06, 2005

Suonare suonare

Abbiamo ripreso a suonare, dopo quasi 13 anni. Sinceramente, è un motivo di felicità. Quando si suona, pensi a quello che devi fare, alla tua parte. Pensi a non sbagliare. Poi, mentre il pezzo va, ascolti te e gli altri insieme. E le parti, che all’inizio sono un po’ scollate, alla fine vanno ciascuna al posto giusto. E avverti, prepotentemente fisico, l’entusiasmo, anzi (e di più) l’ebbrezza di essere, in quel momento, più di te stesso. Quanta meraviglia (di sé e degli altri) sa destare la musica! E com’è rivoluzionariamente egualitaria! Lo stupore è elargito a piene mani anche a chi è un musicista scarso o a chi è arrugginito (e persino a chi, come noi, è entrambe le cose). Suonare insieme è un’emozione forte ed immediata. Un sorprendersi. È l’intuizione che arriva prima del razionale. È un’accelerazione della propria vita. Quando si suona, è naturale esser ciò che non abbiamo la forza di essere in altri momenti: puri, assoluti, vivi. Si è finalmente un io collettivo, in cui c’è spazio per tutte le nostre diversità e quel che ci manca non ci impedisce niente. Non mi capita mai di sentire chi è altro da me così vicino, così uguale, tanto partecipato dalla mia stessa natura. Com’è semplice, invece, in quel momento, guardare negli occhi l’altro e godere del suo impegno e della sua bravura, perché essi (insieme a quel che sappiamo dare noi) creano quella magia di cinque minuti. Già, cinque minuti. Ecco un’altra cosa divina ed irrinunciabile: finalmente un orgasmo che non sia di pochi secondi. Finalmente ci si squassa per minuti interi, lunghi, continuativamente, e senza bisogno, dopo, di pulirci la pancia con un fazzoletto. Senza neppure l'ormonale malumore post-coitum. Anzi, la stupida felicità con cui la musica mi colpisce ha un’onda lunga e m’accompagna per un po’, rendendomi meno amaro il rientro in questo sistema spazio-temporale, ricco delle mie e delle altrui meschinità.

A volte, come stamattina, basta addirittura pensarci soltanto, per stare un po’ al caldo.