Panta rei
Leggendo il giornale, apprendo che in Italia è in atto un tentativo di golpe, opera del Presidente del Consiglio che non accetta l’esito del voto e che ha tentato, a scrutinio in corso, di convincere il Ministro dell’Interno a dichiarare non valide le consultazioni.
Incassata l’indisponibilità del Ministro dell’Interno a partecipare al putsch, il Presidente del Consiglio ha allora manifestato l'intenzione di emanare un decreto con il quale si disponeva la verifica delle schede di circa 60mila sezioni (chissà perché, a quel punto, sessantamila e non tutte), spogliando le Corti d'appello della responsabilità del controllo e la Cassazione della proclamazione dei dati definitivi ed affidando entrambi i compiti di nuovo al Viminale. Come a dire: che gli Interni contino fino a che non escono i numeri che mi servono. In televisione il fatto ci è stato servito come “la necessaria verifica di un risultato elettorale che vede una parte politica prevalere in misura assai risicata”. Il Presidente della Repubblica (Santo subito!) ha frenato questo tentativo, dichiarandosi indisponibile nella maniera più assoluta a controfirmare un siffatto provvedimento.
Ora, mi dico: sono queste le sensazioni che hanno avuto i nostri nonni prima di quella cosa da operetta che fu la marcia su Roma? Tutti hanno continuato ad andare a lavorare tranquilli? Nei caffè, sulle piazze, nei sagrati alla domenica mattina nessuno si diceva preoccupato? Stamattina, tutto regolare: poco traffico per le incipienti vacanze pasquali, i caffè comunque pieni, le canzoni alla radio, la solita giornata.
Questo mi colpisce: il nostro sentirci legittimamente esclusi, perché siamo una variabile il cui comportamento è perfettamente previsto e gestito. In piena campagna elettorale, il Presidente del Consiglio ha dichiarato “Se va a votare l’84% degli Italiani, vinco”. Siamo andati a votare in 83,6 su 100 e ci è mancato effettivamente un pizzico alla riconferma della maggioranza uscente.
Siamo soggetti passivi sia quando votiamo, sia, addirittura, quando qualcuno tenta di rompere le regole della democrazia. Un grande italiano, Giorgio Gaber, in un lungo monologo sulle proprie idiosincrasie, sui propri piccoli e grandi dolori quotidiani, diceva: “Mi fa male quando mi portano il certificato elettorale”. Nei momenti di grande sconforto, penso non sbagliasse.
Incassata l’indisponibilità del Ministro dell’Interno a partecipare al putsch, il Presidente del Consiglio ha allora manifestato l'intenzione di emanare un decreto con il quale si disponeva la verifica delle schede di circa 60mila sezioni (chissà perché, a quel punto, sessantamila e non tutte), spogliando le Corti d'appello della responsabilità del controllo e la Cassazione della proclamazione dei dati definitivi ed affidando entrambi i compiti di nuovo al Viminale. Come a dire: che gli Interni contino fino a che non escono i numeri che mi servono. In televisione il fatto ci è stato servito come “la necessaria verifica di un risultato elettorale che vede una parte politica prevalere in misura assai risicata”. Il Presidente della Repubblica (Santo subito!) ha frenato questo tentativo, dichiarandosi indisponibile nella maniera più assoluta a controfirmare un siffatto provvedimento.
Ora, mi dico: sono queste le sensazioni che hanno avuto i nostri nonni prima di quella cosa da operetta che fu la marcia su Roma? Tutti hanno continuato ad andare a lavorare tranquilli? Nei caffè, sulle piazze, nei sagrati alla domenica mattina nessuno si diceva preoccupato? Stamattina, tutto regolare: poco traffico per le incipienti vacanze pasquali, i caffè comunque pieni, le canzoni alla radio, la solita giornata.
Questo mi colpisce: il nostro sentirci legittimamente esclusi, perché siamo una variabile il cui comportamento è perfettamente previsto e gestito. In piena campagna elettorale, il Presidente del Consiglio ha dichiarato “Se va a votare l’84% degli Italiani, vinco”. Siamo andati a votare in 83,6 su 100 e ci è mancato effettivamente un pizzico alla riconferma della maggioranza uscente.
Siamo soggetti passivi sia quando votiamo, sia, addirittura, quando qualcuno tenta di rompere le regole della democrazia. Un grande italiano, Giorgio Gaber, in un lungo monologo sulle proprie idiosincrasie, sui propri piccoli e grandi dolori quotidiani, diceva: “Mi fa male quando mi portano il certificato elettorale”. Nei momenti di grande sconforto, penso non sbagliasse.
Comunque, oggi, salendo le scale mobili, nell’atrio della stazione Termini, la grande installazione rotante mi ha accolto con il sorriso di Sharon Stone.
1 Comments:
Eppure la metà degli elettori lo rivoleva. Benedetta sia la democrazia.
14 aprile, 2006 12:43
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