Coleus sum
Da ieri, più o meno verso ora di pranzo, per formale decreto del Presidente del Consiglio, sono ufficialmente un coglione. È quasi paradossale, ma la cosa mi dà anche un po’ di blanda soddisfazione. Sarà che essendo noi coglioni conclamati in numero elevato (pari a circa metà degl’italiani), magari ci sentiamo finalmente un po’ meno soli. O, forse, a donarmi un’illogica allegria è il pensiero che, come un luciferino contrappasso, sarà proprio un esercito di coglioni a liberare l’Italia domenica prossima.
Fin qui il buonumore superficiale.
Poi, lasciata decantare la posa, quel che resta è un saporaccio in bocca, perché, se è vero che quel che immediatamente colpisce è la totale ignoranza persino dell’abc democratico, nessuno sembra essersi accorto della gravità della seconda parte della frase che ha illuminato la performance del Cavaliere in Confcommercio. Già, perché quel che ha in lui destato profonda indignazione è il fatto che il corpo elettorale sembra non volersi piegare ai risultati delle ricerche di mercato, ma, incomprensibilmente, scelga di “votare per il proprio disinteresse”. Penso sia sinceramente stupito di quanto gli elettori possano essere clienti bizzosi, incontentabili, volubili come vecchie nobildonne capricciose. Sembra dire loro “Ehi, ragazzi, io ho fatto fare ricerche di mercato serie, queste sono le cose che voi mi avete detto di volere. Ed ora che fate? Non comprate?”
Per anni ce la siamo menata con la morte delle ideologie un po’ come si parla del buco dell’ozono o dell’aumento della temperatura del pianeta: catastrofi dei cui effetti nessuno direttamente s’accorge. E, invece, eccolo qua l’effetto tangibile, sensibile: il Presidente del Consiglio italiano non riesce più a concepire che vi siano cittadini che scelgono chi votare nonostante trenta euro in più sul conto corrente. Non è più nel novero delle cose comprensibili rifiutare una formale diminuzione di tasse semplicemente perché si è convinti che allo stato debbano essere date le risorse per continuare ad offrire servizi pubblici di cui magari non si gode direttamente, ma che si ritiene corretto siano a carico della fiscalità generale. È per lui la negazione di un postulato: la razionalità del consumatore. Qualcosa di simile a negare che di fronte a due mele uguali, si compra quella che costa meno.
L’abbrutimento culturale di cui il berlusconismo è stato artefice in questi anni è quello che ha portato e porta il voto delle fasce più deboli a colui che rimprovera alla parte avversa di voler “far sì che il figlio dell’operaio e quello dell’avvocato siano uguali”.
Fermo restando che si dovrebbe ringraziare il Cavaliere per avere finalmente risolto l’annoso problema di quale sia l’identità della sinistra dopo il crollo del muro di Berlino con una di quelle efficacissime sintesi di cui è indubitabilmente capace, trovo assurdo che nessuno (non uno tra politici alleati ed avversari, politologi, sociologi, notisti politici, giornalisti, conduttori, attori impegnati e non, soubrette coscialunga e non) abbia sottolineato la spudorata antidemocraticità e l'assoluta incostituzionalità di tale affermazione. Non uno che si sia vergognato che una tale concezione medievale di una società divisa in caste sia stata propalata dal capo dell’esecutivo italiano.
Il duro film di Moretti, il Caimano, che ho visto e che consiglio solo ai coraggiosi, a quelli che non hanno vergogna e paura di vedere quel che siamo diventati, riesce a raccontare proprio questo: siamo assuefatti a tutto. Non è un film contro Berlusconi, della cui biografia si narra rifacendosi soltanto ad episodi noti e documentati, è un film contro l’Italia, questa Italia atrofizzata, in piena necrosi cerebrale, incapace di capire cosa sia già ormai irrimediabilmente accaduto, un’Italia di furbi scemi, un’Italia che gioca il gioco della sedia convinta che non toccherà mai a lei di rimanere in piedi.
Un’Italia di coglioni, appunto.
Fin qui il buonumore superficiale.
Poi, lasciata decantare la posa, quel che resta è un saporaccio in bocca, perché, se è vero che quel che immediatamente colpisce è la totale ignoranza persino dell’abc democratico, nessuno sembra essersi accorto della gravità della seconda parte della frase che ha illuminato la performance del Cavaliere in Confcommercio. Già, perché quel che ha in lui destato profonda indignazione è il fatto che il corpo elettorale sembra non volersi piegare ai risultati delle ricerche di mercato, ma, incomprensibilmente, scelga di “votare per il proprio disinteresse”. Penso sia sinceramente stupito di quanto gli elettori possano essere clienti bizzosi, incontentabili, volubili come vecchie nobildonne capricciose. Sembra dire loro “Ehi, ragazzi, io ho fatto fare ricerche di mercato serie, queste sono le cose che voi mi avete detto di volere. Ed ora che fate? Non comprate?”
Per anni ce la siamo menata con la morte delle ideologie un po’ come si parla del buco dell’ozono o dell’aumento della temperatura del pianeta: catastrofi dei cui effetti nessuno direttamente s’accorge. E, invece, eccolo qua l’effetto tangibile, sensibile: il Presidente del Consiglio italiano non riesce più a concepire che vi siano cittadini che scelgono chi votare nonostante trenta euro in più sul conto corrente. Non è più nel novero delle cose comprensibili rifiutare una formale diminuzione di tasse semplicemente perché si è convinti che allo stato debbano essere date le risorse per continuare ad offrire servizi pubblici di cui magari non si gode direttamente, ma che si ritiene corretto siano a carico della fiscalità generale. È per lui la negazione di un postulato: la razionalità del consumatore. Qualcosa di simile a negare che di fronte a due mele uguali, si compra quella che costa meno.
L’abbrutimento culturale di cui il berlusconismo è stato artefice in questi anni è quello che ha portato e porta il voto delle fasce più deboli a colui che rimprovera alla parte avversa di voler “far sì che il figlio dell’operaio e quello dell’avvocato siano uguali”.
Fermo restando che si dovrebbe ringraziare il Cavaliere per avere finalmente risolto l’annoso problema di quale sia l’identità della sinistra dopo il crollo del muro di Berlino con una di quelle efficacissime sintesi di cui è indubitabilmente capace, trovo assurdo che nessuno (non uno tra politici alleati ed avversari, politologi, sociologi, notisti politici, giornalisti, conduttori, attori impegnati e non, soubrette coscialunga e non) abbia sottolineato la spudorata antidemocraticità e l'assoluta incostituzionalità di tale affermazione. Non uno che si sia vergognato che una tale concezione medievale di una società divisa in caste sia stata propalata dal capo dell’esecutivo italiano.
Il duro film di Moretti, il Caimano, che ho visto e che consiglio solo ai coraggiosi, a quelli che non hanno vergogna e paura di vedere quel che siamo diventati, riesce a raccontare proprio questo: siamo assuefatti a tutto. Non è un film contro Berlusconi, della cui biografia si narra rifacendosi soltanto ad episodi noti e documentati, è un film contro l’Italia, questa Italia atrofizzata, in piena necrosi cerebrale, incapace di capire cosa sia già ormai irrimediabilmente accaduto, un’Italia di furbi scemi, un’Italia che gioca il gioco della sedia convinta che non toccherà mai a lei di rimanere in piedi.
Un’Italia di coglioni, appunto.
2 Comments:
Quindi alla fine avete la stessa idea tu e il Berlusca... perchè se è vero che l'Italia è piena di coglioni, e che la sinistra è avanti in tutti i sondaggi... scheerzi a parte, ora toccherà al centro-sinistra, speriamo che tra 5 anni non li sentiamo parlare delle rovine che ha lasciato loro Berlusconi.
05 aprile, 2006 11:19
vai cor tango!
P. e R.
06 aprile, 2006 16:11
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