Privo di titolo
Ogni qualvolta in Sicilia c’è una strage, un morto, un arresto, si sente dire che la lotta alla mafia è un fatto prima di tutto culturale. E spesso la frase, sull’onda dell’emozione che i fatti di sangue ci suscitano, ci appare un po’ banale, un po’ intellettualista e, in fondo in fondo, neppure del tutto vera. È innegabile che l’ultimo moto unitario di indignazione degli italiani sia stato quello che ha seguito le stragi di Capaci e via D’Amelio. Forse l’unica verità condivisa da tutti gli italiani è quella per cui Falcone e Borsellino sono i Lari e i Penati della nostra povera Repubblica (anzi, di quel che ne resta), Libero Grassi è un eroe civile, il Generale Dalla Chiesa un glorioso combattente.
È esattamente quel che sento anche io, al punto che non aspetto che altri cittadini italiani straordinari come Giancarlo Caselli o Don Ciotti siano uccisi dalla mafia per affiancarli a quelli che prima ho citato (e a quanti ho colpevolmente tralasciato).
Stamattina, sulla metro, leggevo per l’ennesima volta (sì, perché torno volentieri sui libri che ho amato) “Il cane di terracotta” di quel meraviglioso cantastorie che è Andrea Camilleri. Ed eccola lì, mirabilmente in mezza pagina (scritta nel 1996), l’evidenza empirica, concreta, schiacciante di come la mafia sia un fenomeno da affrontare prima di tutto culturalmente.
È esattamente quel che sento anche io, al punto che non aspetto che altri cittadini italiani straordinari come Giancarlo Caselli o Don Ciotti siano uccisi dalla mafia per affiancarli a quelli che prima ho citato (e a quanti ho colpevolmente tralasciato).
Stamattina, sulla metro, leggevo per l’ennesima volta (sì, perché torno volentieri sui libri che ho amato) “Il cane di terracotta” di quel meraviglioso cantastorie che è Andrea Camilleri. Ed eccola lì, mirabilmente in mezza pagina (scritta nel 1996), l’evidenza empirica, concreta, schiacciante di come la mafia sia un fenomeno da affrontare prima di tutto culturalmente.
Recentemente, tutti abbiamo visto le immagini del covo di Bernardo Provenzano, di quella catapecchia in campagna, a quattro passi da Corleone, in cui viveva il boss dei boss. E tutti ci siamo fatti affatare dall’illusion sociologique dei media che hanno enfatizzato quanto fosse stridente il contrasto tra l’immensità delle ricchezze del “capo della mafia” e lo stile di vita spartano a cui questi si costringeva da anni.
Bene, la scena che Camilleri racconta è quella del vecchio capomafia che, superato dagli eventi, dal progresso che corre velocissimo anche nell’organizzazione su cui regna, s’appatta con il commissario per essere arrestato e andare, finalmente, in pensione. Il mafioso e il poliziotto s’accordano per fare giusto quel po’ di teatro che consenta al vecchio Tano ‘u Grecu di non perdere la faccia agli occhi degli altri mafiosi. Perché “costituirsi, dottore, è una cosa e essere arrestato un’altra”.
Bene, la scena che Camilleri racconta è quella del vecchio capomafia che, superato dagli eventi, dal progresso che corre velocissimo anche nell’organizzazione su cui regna, s’appatta con il commissario per essere arrestato e andare, finalmente, in pensione. Il mafioso e il poliziotto s’accordano per fare giusto quel po’ di teatro che consenta al vecchio Tano ‘u Grecu di non perdere la faccia agli occhi degli altri mafiosi. Perché “costituirsi, dottore, è una cosa e essere arrestato un’altra”.
Il gentlemen’s agreement si chiude in incontro notturno in una casa colonica quadrata, con solo una branda, un tavolo e un paio di sedie di paglia, a cui entrambi i protagonisti si presentano disarmati. Il codice che consente loro di parlarsi è quello degli uomini per i quali è comunque sacro il valore della stretta di mano. Massimamente se essa viene data di fronte ad una bottiglia di quello buono.
Allora non appare più tanto inspiegabile che dopo aver catturato Totò Riina le forze dell’ordine si siano “dimenticate” di frugare nel covo e, di conseguenza, viene addirittura da definire naturale la recente assoluzione del generale Mori e del capitano Ultimo (colui che ha materialmente condotto l’azione di polizia che ha portato alla cattura del capo dei corleonesi) al processo che li vedeva imputati di favoreggiamento, proprio per quell’omessa perquisizione.
Io non credo affatto che Camilleri avesse notizie di prima mano su quali fossero gli stili di vita del grande vecchio della mafia. Credo però che possedesse gli elementi per creare una finzione di estrema verosimiglianza. Uno dei suoi libri, considerato ingiustamente minore (forse perché trattasi di breve saggetto e non di narrativa), è la “Bolla di componenda”. In esso, si racconta di un incredibile documento, in uso in Sicilia nel diciassettesimo secolo, con il quale il potere ecclesiastico, dietro il pagamento di un obolo, di entità variabile a seconda della gravità del peccato/reato, garantiva preventivamente l’assoluzione per qualsiasi atto criminoso, escluso l'omicidio. Il brigantaggio e le mafie nascono, storicamente, dall’assenza (e dunque dalla domanda da parte della popolazione) di uno Stato e, più in generale, di un potere in grado di amministrare territorio e uomini.
Oggi la mafia è sicuramente altro da questo ed è altro anche dalla mafia di cui abbiamo avuto notizia finora. I codici sono sicuramente cambiati e, quel che è peggio, non li conosciamo. La chiave che abbiamo per impossessarcene è, però, la medesima: comprendere quali siano le ragioni per le quali un antistato criminoso ed ostile verso la popolazione stessa continui ad avere nel tessuto sociale un così ampio spazio in cui prosperare e farsi forte.
Io non credo affatto che Camilleri avesse notizie di prima mano su quali fossero gli stili di vita del grande vecchio della mafia. Credo però che possedesse gli elementi per creare una finzione di estrema verosimiglianza. Uno dei suoi libri, considerato ingiustamente minore (forse perché trattasi di breve saggetto e non di narrativa), è la “Bolla di componenda”. In esso, si racconta di un incredibile documento, in uso in Sicilia nel diciassettesimo secolo, con il quale il potere ecclesiastico, dietro il pagamento di un obolo, di entità variabile a seconda della gravità del peccato/reato, garantiva preventivamente l’assoluzione per qualsiasi atto criminoso, escluso l'omicidio. Il brigantaggio e le mafie nascono, storicamente, dall’assenza (e dunque dalla domanda da parte della popolazione) di uno Stato e, più in generale, di un potere in grado di amministrare territorio e uomini.
Oggi la mafia è sicuramente altro da questo ed è altro anche dalla mafia di cui abbiamo avuto notizia finora. I codici sono sicuramente cambiati e, quel che è peggio, non li conosciamo. La chiave che abbiamo per impossessarcene è, però, la medesima: comprendere quali siano le ragioni per le quali un antistato criminoso ed ostile verso la popolazione stessa continui ad avere nel tessuto sociale un così ampio spazio in cui prosperare e farsi forte.
2 Comments:
Coi miei rispetti, Esimio.
08 maggio, 2006 16:50
E nel " Cane di terracotta" la mafia rappresentata da don Tano è ancora quella ,per così dire, di una volta. Molto più crudele è quella che si manifesta in un libro successivo, dove fa vedere il suo volto più malvagio..... dove Montalbano viene ferito, dove scopre cose che lo segneranno per sempre. Lui, grande sbirro disincantato e conscio di vivere in una terra meravigliosa e piena di contraddizioni feroci, lui per la prima volta si sente vecchio.E questa sensazione lo accompagnerà anche nelle storie successive.
E accompagna anche noi che di mafia sappiamo da quando siamo nati.
20 maggio, 2006 15:45
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