Kelner, herbata. Dziękuję
Sono seduto al ristorante dell’albergo. La sala è in stile liberty, inizio novecento, interamente in mogano. Un quartetto d’archi suona in fondo alla sala. C’è un odore di Hercule Poirot, anzi di Lawrence d’Arabia. Ed anche io (che mi sono cambiato d’abito prima di venire a cena) sono affettato e dandy come un inglese eccentrico, che sia per qualche sua misteriosa ragione qui, alla periferia dell’Impero. L’Impero non è quello inglese delle colonie, ma è ciò che resta del grande Impero prussiano, le cui vestigia hanno ben resistito durante il tragico Impero sovietico. Leggo, mollemente appoggiata la mia testa su una mano, nell’attesa che un cameriere, vecchio e molto compito, serva il borsch che ho ordinato, annunciandomi la portata in un francese impeccabile. Non è semplicemente un salto indietro nel tempo, una sospensione del procedere degli eventi del mondo. È un singhiozzo della Storia. Mi sembra di poter sapere, ora, cosa si provasse in quei lunghi soggiorni (e non vacanze, perché la vacanza è il tempo che si può usare in mancanza di doveri e all’epoca in cui viaggiava solo chi poteva disporre pienamente del proprio tempo il concetto era semplicemente inutile) ad Aleppo o a Damasco, quando le mogli dei diplomatici davano scandalo per il loro esotico anticonformismo e giravano con una graziosa pistola da donna nella borsetta.
Assaporo il gusto di queste diversità perdute, quando l’inglese non era l’unica lingua comune, fumare era il piacere di una conversazione e non il vizio della solitudine, non esistevano misure standard e l’ipocrisia del politically correct era semplicemente inimmaginata.
Qui, ad Olsztyn, non ci sono altri alberghi.
Assaporo il gusto di queste diversità perdute, quando l’inglese non era l’unica lingua comune, fumare era il piacere di una conversazione e non il vizio della solitudine, non esistevano misure standard e l’ipocrisia del politically correct era semplicemente inimmaginata.
Qui, ad Olsztyn, non ci sono altri alberghi.