Accidenti, se hai sbagliato
Ci vuole tempo perché la polvere si depositi e quello che al momento della deflagrazione sembrava appena intuirsi si mostri in tutta la sua incontestabile evidenza: in Italia non c’è più una sinistra.
Non è un problema di posizioni politiche, di avvicinamento al centro, di piattaforme ideologiche. Magari lo fosse. Non c’è più la sinistra, intesa come forza che crede nella democrazia, che sia per l’uguaglianza delle opportunità, che desidera una società la più aperta possibile, che dà valore alla partecipazione. Non c’è più una sinistra di massa. C’è ancora, anche se si va via via assottigliando, una massa di sinistra, il che è francamente tutta un’altra cosa.
“Io non ho sbagliato”. È tutto quello che Massimo D’Alema ha saputo dire, in relazione a quello che le intercettazioni telefoniche hanno mostrato. In quelle frasi non c’è nulla di penalmente rilevante e lo stesso dicasi dell’ormai celeberrima “Allora, abbiamo una banca?” di Piero Fassino.
Resta che quelle parole sono politicamente criminali. Il fatto che vi sia il rifiuto totale di discutere del senso politico dell’intera “operazione di sistema” Antonveneta-BNL è esso stesso un impietoso atto di autoaccusa. Da giorni stiamo discutendo di tutela della privacy, di come evitare che siano pubblicate le intercettazioni telefoniche. Il problema sicuramente esiste, ma, a fronte di quel che è emerso (e sulla veridicità dei fatti non c’è alcuna discussione), una classe politica che si occupi di come limitare la pubblicazione delle intercettazioni assomiglia terribilmente alla Maria Antonietta delle brioches. Inoltre, non può non stonare che, oggi che è la politica a vedere sui giornali le proprie frasi irripetibili, il tema abbia assunto una centralità assoluta nel dibattito. (Chissà perché il Parlamento non ha sentito il bisogno di agire quando a finire pubblicate sono state le chiacchiere del mascalzone Moggi?)
Una Sinistra (quella che quando è con la maiuscola è legalitaria, democratica, rispettosa delle Istituzioni e della Costituzione) non avrebbe mai accettato questo (e infatti gli elettori non lo accettano). Una Sinistra avrebbe processato la propria classe dirigente, non per aver tentato un accordo con l’avversario (vi sono nella storia d’Italia esempi fulgidi di accordi altissimi tra politici di parte avversa), ma per la spregiudicatezza e la spudoratezza con cui essa ha rotto gli indugi e gettato la maschera: il popolo di sinistra smetta pure di credere che stare con questa sinistra vuol dire votare per un sistema di valori che si crede diverso e migliore. L’affaire Antonveneta-Unipol dimostra che anche la classe dirigente di questa sinistra adotta uno schema di riferimento che prevede un sistema dell’informazione che risponde alla destra ed uno che risponde alla sinistra, un sistema industriale di destra (la piccola impresa che vuole meno tasse) ed uno di sinistra (la media-grande industria, che vuole gli aiuti di stato), un polo finanziario di destra ed uno di sinistra. È questa la questione politica a cui D’Alema e tutti gli altri non vogliono rispondere, su cui non vogliono essere inchiodati.
Ritengo che sarebbe giusto, d’ora in poi, parlare di Blu e Rossi (o Montecchi e Capuleti, Scapoli e Ammogliati), tanto per rispettare il significato storico delle parole Destra e Sinistra.
D’Alema è il più bravo di tutti e per questo è doveroso prendersela con lui. Non è il solo responsabile di questa deriva, ma ne è sicuramente l’emblema, il campione. Ieri sera gli ho sentito dire che il problema della governabilità del Paese è il fatto che abbiamo un Parlamento che, invece di limitarsi a ratificare ogni sei mesi i provvedimenti del Governo, si permette il lusso di questionare e rallentare i lavori dell’esecutivo. Sono parole che, dette da Berlusconi, avrebbero fatto gridare (giustamente) al tentato golpe.
La cosiddetta “operazione di sistema” serviva a razionalizzare (e a cristallizzare) lo scenario: il sistema deve essere irrimediabilmente bipolare e la scelta a cui noi cittadini dobbiamo essere chiamati non è fra destra e sinistra (nessuna delle due parti elabora più un’idea di società, dunque è impossibile parlare di differenze), ma tra due establishment economico-finanziari contrapposti. Ciò è esattamente quel che avviene negli USA, dove chi vota per questi Repubblicani (non per i Repubblicani tout-court), di fatto assegna priorità massima alla difesa degli interessi della lobby economico-finanziaria che sostiene questa amministrazione, quella dei produttori di petrolio. Chi votasse domani per Obama (o avesse votato ieri per Al Gore) sosterrebbe non le energie rinnovabili, ma il sistema economico-finanziario che si fonda sul business delle energie rinnovabili.
Allora la vera “operazione di sistema” (uno dei cui pilastri è la nascita del Pd, che infatti è molto ben vista da Berlusconi), di cui Antonveneta-Unipol è solo un pezzetto, è trasformarci definitivamente in un Paese in cui il corpo elettorale serve solo a dare il crisma formale della democrazia all’impero quinquennale di questo o quell’establishment. Il Parlamento, al pari dei movimenti, dell’opinione pubblica, della magistratura è, apertis verbis, diventato per la ristretta oligarchia (bipartisan, questa sì) di coloro che possono aspirare alla guida del Paese un vincolo, la cui capacità di impatto deve essere il più possibile minimizzata.
La sola voce fuori dal coro, va detto, è quella di Antonio Di Pietro, al quale ritengo giusto esprimere apprezzamento e gratitudine.
Non so cosa noi, da fuori il palazzo, si possa fare. Una cosa ce l’ho chiara però: è utile raccogliere le firme e votare a favore del referendum sulla legge elettorale. Una vittoria dei Sì configurerebbe una situazione in cui sarebbe più difficile che a tutti i partiti convenga di cristallizzare il sistema in questo finto bipolarismo. L’entropia del sistema politico aumenterebbe per la paura dei piccoli partiti di sparire.
Possiamo sperare che le divisioni tra i partiti facciano fallire il progetto di esautorare definitivamente i cittadini.
Dobbiamo - per come ci è possibile - fare resistenza.
Non è un problema di posizioni politiche, di avvicinamento al centro, di piattaforme ideologiche. Magari lo fosse. Non c’è più la sinistra, intesa come forza che crede nella democrazia, che sia per l’uguaglianza delle opportunità, che desidera una società la più aperta possibile, che dà valore alla partecipazione. Non c’è più una sinistra di massa. C’è ancora, anche se si va via via assottigliando, una massa di sinistra, il che è francamente tutta un’altra cosa.
“Io non ho sbagliato”. È tutto quello che Massimo D’Alema ha saputo dire, in relazione a quello che le intercettazioni telefoniche hanno mostrato. In quelle frasi non c’è nulla di penalmente rilevante e lo stesso dicasi dell’ormai celeberrima “Allora, abbiamo una banca?” di Piero Fassino.
Resta che quelle parole sono politicamente criminali. Il fatto che vi sia il rifiuto totale di discutere del senso politico dell’intera “operazione di sistema” Antonveneta-BNL è esso stesso un impietoso atto di autoaccusa. Da giorni stiamo discutendo di tutela della privacy, di come evitare che siano pubblicate le intercettazioni telefoniche. Il problema sicuramente esiste, ma, a fronte di quel che è emerso (e sulla veridicità dei fatti non c’è alcuna discussione), una classe politica che si occupi di come limitare la pubblicazione delle intercettazioni assomiglia terribilmente alla Maria Antonietta delle brioches. Inoltre, non può non stonare che, oggi che è la politica a vedere sui giornali le proprie frasi irripetibili, il tema abbia assunto una centralità assoluta nel dibattito. (Chissà perché il Parlamento non ha sentito il bisogno di agire quando a finire pubblicate sono state le chiacchiere del mascalzone Moggi?)
Una Sinistra (quella che quando è con la maiuscola è legalitaria, democratica, rispettosa delle Istituzioni e della Costituzione) non avrebbe mai accettato questo (e infatti gli elettori non lo accettano). Una Sinistra avrebbe processato la propria classe dirigente, non per aver tentato un accordo con l’avversario (vi sono nella storia d’Italia esempi fulgidi di accordi altissimi tra politici di parte avversa), ma per la spregiudicatezza e la spudoratezza con cui essa ha rotto gli indugi e gettato la maschera: il popolo di sinistra smetta pure di credere che stare con questa sinistra vuol dire votare per un sistema di valori che si crede diverso e migliore. L’affaire Antonveneta-Unipol dimostra che anche la classe dirigente di questa sinistra adotta uno schema di riferimento che prevede un sistema dell’informazione che risponde alla destra ed uno che risponde alla sinistra, un sistema industriale di destra (la piccola impresa che vuole meno tasse) ed uno di sinistra (la media-grande industria, che vuole gli aiuti di stato), un polo finanziario di destra ed uno di sinistra. È questa la questione politica a cui D’Alema e tutti gli altri non vogliono rispondere, su cui non vogliono essere inchiodati.
Ritengo che sarebbe giusto, d’ora in poi, parlare di Blu e Rossi (o Montecchi e Capuleti, Scapoli e Ammogliati), tanto per rispettare il significato storico delle parole Destra e Sinistra.
D’Alema è il più bravo di tutti e per questo è doveroso prendersela con lui. Non è il solo responsabile di questa deriva, ma ne è sicuramente l’emblema, il campione. Ieri sera gli ho sentito dire che il problema della governabilità del Paese è il fatto che abbiamo un Parlamento che, invece di limitarsi a ratificare ogni sei mesi i provvedimenti del Governo, si permette il lusso di questionare e rallentare i lavori dell’esecutivo. Sono parole che, dette da Berlusconi, avrebbero fatto gridare (giustamente) al tentato golpe.
La cosiddetta “operazione di sistema” serviva a razionalizzare (e a cristallizzare) lo scenario: il sistema deve essere irrimediabilmente bipolare e la scelta a cui noi cittadini dobbiamo essere chiamati non è fra destra e sinistra (nessuna delle due parti elabora più un’idea di società, dunque è impossibile parlare di differenze), ma tra due establishment economico-finanziari contrapposti. Ciò è esattamente quel che avviene negli USA, dove chi vota per questi Repubblicani (non per i Repubblicani tout-court), di fatto assegna priorità massima alla difesa degli interessi della lobby economico-finanziaria che sostiene questa amministrazione, quella dei produttori di petrolio. Chi votasse domani per Obama (o avesse votato ieri per Al Gore) sosterrebbe non le energie rinnovabili, ma il sistema economico-finanziario che si fonda sul business delle energie rinnovabili.
Allora la vera “operazione di sistema” (uno dei cui pilastri è la nascita del Pd, che infatti è molto ben vista da Berlusconi), di cui Antonveneta-Unipol è solo un pezzetto, è trasformarci definitivamente in un Paese in cui il corpo elettorale serve solo a dare il crisma formale della democrazia all’impero quinquennale di questo o quell’establishment. Il Parlamento, al pari dei movimenti, dell’opinione pubblica, della magistratura è, apertis verbis, diventato per la ristretta oligarchia (bipartisan, questa sì) di coloro che possono aspirare alla guida del Paese un vincolo, la cui capacità di impatto deve essere il più possibile minimizzata.
La sola voce fuori dal coro, va detto, è quella di Antonio Di Pietro, al quale ritengo giusto esprimere apprezzamento e gratitudine.
Non so cosa noi, da fuori il palazzo, si possa fare. Una cosa ce l’ho chiara però: è utile raccogliere le firme e votare a favore del referendum sulla legge elettorale. Una vittoria dei Sì configurerebbe una situazione in cui sarebbe più difficile che a tutti i partiti convenga di cristallizzare il sistema in questo finto bipolarismo. L’entropia del sistema politico aumenterebbe per la paura dei piccoli partiti di sparire.
Possiamo sperare che le divisioni tra i partiti facciano fallire il progetto di esautorare definitivamente i cittadini.
Dobbiamo - per come ci è possibile - fare resistenza.