"Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti." "Avanza qualcosa?" "Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io."

giovedì, ottobre 30, 2008

Ossimori emotivi

Non so dire se si provi più rabbia o rassegnazione nel leggere le cronache degli scontri tra studenti avvenuti a Piazza Navona, di fronte a forze di polizia immobili colpite da fulminante apatia. La rassegnazione nasce dal prendere atto che ormai assistiamo a fatti estremamente gravi come quello accaduto ieri, lasciandoceli scivolare addosso senza reagire, guardandoli alla tv con il terribile distacco che riserviamo alle vittime di lontani terremoti in regioni sperdute del Medio Oriente.
Eppure, già nelle settimane scorse, si era stigmatizzato un atteggiamento del Presidente del Consiglio, se non di interesse, quantomeno di partecipata attesa, riguardo alla possibilità che le pacifiche manifestazioni di contrarietà al decreto Gelmini venissero funestate da violenze fra partecipanti. Ricordo il timido Veltroni lanciare l’allarme per la definizione di “facinorosi” che il premier aveva riservato agli studenti manifestanti. Oggi, anche facendolo con un maggiore vigore che Veltroni non mostra di avere, riuscire a spiegare agli Italiani quanto pericolose possano essere le parole è impossibile. Nel corso degli ultimi quindici anni, Berlusconi ha dimostrato (convincendo pienamente i suoi avversari a mutuarne gli atteggiamenti) come la comunicazione politica debba essere confezionata come se si parlasse ad un bambino di dodici anni. Il sottoprodotto di ciò (gli storici sapranno dire se e quanto esso sia stato voluto o meno) è che oggi quasi l’intero mondo della comunicazione appare regredito a tal punto da parlare esso stesso come un bambino di dodici anni. Ormai “agguerriti”, “esaltati”, “scalmanati”, “facinorosi”, “violenti”, “comunisti” e “fascisti” sono, alfine, divenuti sinonimi e questa indistinta confusione lessicale ha generato simmetricamente un'incapacità ed una mancanza di volontà di analizzare, contestualizzare e, in definitiva, spiegare quel che accade. Oggi a nessuno è chiesto conto delle parole che usa, tanto che nella politica è ormai sempre più in voga l’abito di rilasciare dichiarazioni, che, saggiatone in tempo quasi reale l’impatto, vengono immediatamente corredate di un’interpretazione ufficiale, autentica. Tutto così è sottratto a qualsiasi valutazione indipendente e nessuno deve mai rispondere di alcunché.
Di qualche giorno fa sono i mirati consigli che il Presidente emerito Cossiga ha voluto dare a mezzo stampa al suo successore al Viminale Maroni. La rassegnazione è anche nel vedere quanto frusto sia ormai il ricettario delle sconcezze politiche: la solita manipolazione della pubblica opinione, la solita infiltrazione di soggetti consapevoli o strumentalizzati, la solita repressione del dissenso con il beneplacito della maggioranza silenziosa ed abbindolata. E dunque, per tornare a ieri, il solito camioncino di persone venute a menare un po’ le mani, a sentirsi un po’ più importanti del nulla che sono e ad eseguire il proprio compitino, esattamente come altri avevano deciso dovessero fare.
Sono cose già viste centinaia di volte in Italia.
E la rabbia? Lo scontro politico degli anni settanta aveva ad oggetto l’idea stessa di Stato, la nostra collocazione nel mondo. Ci si spendeva con vigore (fino ad eccessi che hanno generato mostri, come tutti sappiamo) per cambiare la propria posizione sociale, per chiedere un mondo migliore ed una società più giusta. Si perseguivano, cioè, obiettivi, se non si vuol dirli alti o nobili, comunque ambiziosi, ai quali in ogni epoca uomini di ogni convinzione hanno scelto di consacrare la propria vita.
Beh, la rabbia è constatare come oggi la nostra passione politica si risolva in maniera praticamente esclusiva nell’azzuffarci affinché la fazione alla quale abbiamo deciso di appartenere sia vincente e possa consolidarsi al potere. Viceversa poco o nulla interessa oggi dei contenuti della politica, cioè di ciò che dovremmo considerare il fine ultimo della nostra stessa partecipazione politica.
L’Italia, oggi, è un impenitente Dongiovanni, che, ricevuto finalmente il fatidico invito a salire su a bere qualcosa, sorride, esulta, rimonta in macchina e va a casa a vedere la tv.

martedì, ottobre 07, 2008

Mission impossible

Assonnato e di normale malumore, guidavo verso l’ufficio. Solito traffico, solito percorso, solita andatura da cane zoppo, almeno fino all’apertura delle gabbie di quel grande cinodromo che è il GRA. L’abitudine è una compagna rassicurante e ad essa ci aggrappiamo specialmente ad inizio giornata, quando c’è da vincere il pensiero di tutti gli impegni che ci attendono.
La spia era di un bell’arancione vivido, sin dalle sei di pomeriggio del giorno prima. In questi casi, però, ho ormai perfetta cognizione dei chilometri di autonomia che corrispondono all’esiguo, infinitesimale spazio che separa l’asticella dell’indicatore della benzina dallo zero assoluto. Infatti, dopo poche centinaia di metri, ecco un grande cartello verde ad indicare che a circa duemila metri da dov'ero si trova un distributore che pratica il conveniente prezzo di 1,322€ al litro.
Nonostante questo, ho rischiato lo stesso di rimanere a piedi. No, non ho dovuto spingere la macchina per arrivare dal benzinaio. Semplicemente sono piombato in una forma di trance, dalla quale sono riemerso soltanto quando l’area di servizio appariva piccola piccola dentro il mio retrovisore. Ho pagato la fortuna di trovare di lì a pochi minuti un altro distributore, rifornendo all’astronomica cifra di 1,402€ al litro. Maledizione.
Il fatto che è che stavo sentendo musica, come faccio quasi sempre mentre guido. Ricordo la progressione geometrica finale di Nord, con il sax tenore, il sax alto, la tromba e poi il loro ensemble ad accavallarsi su due temi magici come quelli che solo il vecchio astigiano sa tirar fuori. Anche ora che ci ripenso, visualizzo l’immagine che sempre mi si condensa nella mente quando ascolto quel pezzo: un grande prato in altura, l’aria fina e pungente, colori eccessivi per troppa vicinanza al cielo e profumi vergini. Finito il brano, dopo qualche secondo di fiatone post-coitale, mi sono risvegliato e ridevo, di vera contentezza.
Tutto ciò mi capita spesso, quando ascolto musica. Penso che essa sia un mistero, una magia, un dono. La musica mi porta schegge di verità. Quel che di me e del mondo non so capire con gli sforzi ottusi della mia povera intelligenza, me lo rende chiaro la musica. Essa usa quali parole le nostre sensazioni indicibili, compilandoci le emozioni direttamente in linguaggio macchina.
Così, rispondere ad una email tutto sommato innocente, dall’onesto titolo “Una dura missione…”, con cui un mio collega molto simpatico mi chiedeva di dargli i titoli delle dodici canzoni a mio giudizio più belle, s’è rivelato un impegno veramente duro. Mi sono portato, ovviamente, il lavoro a casa. Non potevo correre il rischio di tralasciare qualcosa di fondamentale, per difetto di una memoria a volte labile. Ridurre la forza comunicativa della musica in dodici esempi è di per sé un esercizio estremo, un volteggio ardito, un’acrobazia avventata e proprio non mi sarei potuto cimentare, senza almeno la rete di salvataggio dei miei cd ordinati alfabeticamente. È stato un processo di violenza inaudita, ai limiti della stupidità, dover scegliere tra Fossati e Jimi Hendrix, tra John Lennon e Giovanna Marini. Però quello era il cimento e quello ho fatto, sia pure non fino in fondo. Non sono riuscito a scendere sotto i 14 brani. Sarebbe stato troppo doloroso dover selezionare ulteriormente.
Ancora di più mi ha pesato non riuscire a separare bene tutte le componenti che immancabilmente entrano in gioco quando si fanno valutazioni come queste. Quanta parte delle mie scelte è dipesa da quello che pensavo sarebbe piaciuto al mio collega? Quanta parte invece è dipesa dal mio particolare umore di quella giornata? Considero un disco nuovo o un artista sconosciuto come un regalo da scartare. Quanto ha pesato nelle mie scelte il piacere che sempre mi dà fare regali? Impossibile dirlo. Il fatto è che ogni volta che si guarda un quadro, lo si ridipinge daccapo. Ho imparato da tempo che ciò è naturale e, perciò, inevitabile. Dunque, lo accetto, però mi fa rabbia.
Rispondendo al mio collega, ho accompagnato la mia lista con la data, il luogo e l’ora delle mie scelte, pur consapevole che ciò non sarà bastevole a salvarmi l’anima.

Hothouse Flowers - Be good
Dave Matthews Band - Stay (Wasting time)
Living Colour - Love rears its ugly head
Led Zeppelin - In my time of dying
Queen + David Bowie - Under pressure
Peter Gabriel - Sledgehammer
Bob Dylan - Jokerman
C.S.I. - In viaggio
Vasco Rossi - ....stupendo
Lucio Dalla - Treno
Paolo Conte - Nord
Gianmaria Testa - Per accompagnarti
Giorgio Gaber - Io se fossi Dio
Enzo Jannacci - Parlare col liquido