Tutte le vacche sono almeno grigio scuro
Io amo il calcio. Sono tifoso da sempre di una squadra che, almeno per il momento, non pare sia stata parte di quello che è stato ribattezzato il “sistema Moggi”. È la squadra (e più ancora lo sono i suoi vertici) che ormai è divenuta l’emblema del donchisciottismo, ovvero di una certa coglioneria ammantata di nobiltà d’animo, per la quale, da ben diciassette anni, noi che la tifiamo siamo più o meno affabilmente canzonati da tutta Italia. Ora si sa che, accanto alla nostra innegabile inettitudine, c’erano anche altre rilevanti ragioni per le quali le nostre indefesse speranze, anno dopo anno, sono andate regolarmente deluse.
Come tifoso, non ne godo.
Come cittadino, sono felice che un po’ di legalità venga ripristinata (e che ciò venga fatto con il concorso e l’opera di Francesco Saverio Borrelli, italiano benemerito) in un ambiente, quale è quello calcistico, che si è caratterizzato specialmente negli ultimi dieci anni per un’inspiegabile sospensione dello stato di diritto. Aspetto con gioia e fiducia che le curve siano liberate da quella masnada di violenti bamboccioni, incapaci di essere semplicemente spettatori di un evento, che sono strumentalizzati politicamente da qualche ex-picchiatore fascista (oggi giusto lievemente ripulito) e la cui rabbia verso il mondo viene sfruttata economicamente dai propri capi bastone. Aspetto che finalmente gli stadi tornino territorio dello Stato italiano, ove vigono e sono fatte rispettare le leggi dello Stato italiano.
Come persona, poi, mi rallegro che l’irrazionale (ed irragionevole) mio sospetto che Lombroso sia stato il più grande scienziato di tutti i tempi abbia avuto negli ultimi due mesi un paio di prove a supporto praticamente decisive (Previti e Moggi).
Io non so quali saranno gli esiti delle inchieste penali e dei processi che probabilmente da esse scaturiranno. Non mi interessa vedere Lucianone tradotto in ceppi o Geronzi costretto a vendere la banca. Però, vorrei fosse ribadito una volta per tutte che non c’è affatto bisogno di una sentenza penale per poter condannare il comportamento di una persona. Essere cliente di prostitute non è contro la legge, ma è un comportamento socialmente esecrabile, perché concorre a determinare la schiavitù di molte delle signorine che vediamo il sabato sera in strada.
Allo stesso modo, non ho bisogno di vedere sancita da una condanna dei magistrati la disonestà di chi ha governato il calcio, ovvero l’oggetto della passione di milioni di italiani. C’era chi controllava il sistema arbitrale e il mercato dei calciatori ed era in accordo con chi poteva impedire o favorire il buon esito delle trattative di cessione dei diritti televisivi (che costituiscono la parte maggioritaria degli introiti di una società di calcio). Questo calcio era poi governato, per conto dello Stato, da chi era al contempo a capo della Federazione e presidente della banca d’affari con cui un numero elevato ed imprecisato di squadre professionistiche erano e sono indebitate fino al collo.
Il voto con cui la Lega calcio, ad inizio settimana, nonostante tutto quello che è sui giornali da circa un mese, non ha sfiduciato il proprio presidente ai più è parso quasi inconcepibile e comunque disperante. Io, invece, temo di averne perfettamente compreso il senso. Questi signori, così vessati dalla prepotenza del capostazione di Civitavecchia e dei suoi sodali, ci hanno detto che la mafia del calcio conviene anche a chi la subisce. Per questo nessuno, non un solo dirigente di quelle squadre, i cui tifosi ogni anno giurano che è l’ultima volta che fanno l’abbonamento e insieme sperano sia finalmente la stagione giusta, ha mai denunciato niente alla magistratura (ordinaria o sportiva che dir si voglia). Per questo, ancora oggi, nessuno ha formalmente mai chiesto le dimissioni ad alcuno, neppure dopo che, con una nota ufficiale, la squadra il cui amministratore delegato è anche presidente di Lega ha candidamente ammesso che quest’ultimo s’è adoperato per raccomandare un arbitro addirittura al numero due del governo italiano. All'epoca dei fatti, lo dico per i pochi lettori venusiani di questo blog, il numero uno del governo italiano era contemporaneamente anche il maggiore azionista della squadra di cui stiamo parlando e il proprietario fondatore del gruppo televisivo che si è assicurato (al termine di trattative gestite dal presidente di Lega) i diritti televisivi per trasmettere il campionato di calcio su una piattaforma (il digitale terrestre) la cui penetrazione in Italia è stata massicciamente incentivata con soldi pubblici nelle ultime tre leggi finanziarie.
L’altra faccia della medaglia, infatti, è proprio questa: le squadre di calcio, tutte, contrariamente a quanto accade negli altri paesi, vendono singolarmente i propri diritti televisivi ad ogni singola piattaforma: diritti in chiaro, diritti satellitari, diritti radiofonici, diritti per il digitale terrestre, diritti per la televisione via web, diritti per la televisione via telefonino. Se pure il sistema Moggi (che certo è il caso di chiamare comunque Moggi-Galliani, a prescindere da quanto emerge nelle intercettazioni telefoniche a carico del presidente di Lega) ha favorito i risultati sportivi delle squadre ad esso immediatamente riconducibili (falsando così i campionati), non c’è società calcistica che non abbia guadagnato dalla sua esistenza e persino dal subirne il potere.
In questi anni, si è avuto qualche tentativo di scardinare questo blindatissimo sistema di potere, ma proprio la convenienza economica che esso garantiva agli stessi club vessati ha fatto sì che chiunque abbia provato a costituire un centro di potere alternativo non abbia mai trovato alleati disposti ad abbandonare il purgatorio certo per un incerto paradiso. Qualche anno fa, il presidente di una delle squadre della capitale propose per il ruolo di presidente di Federazione un nome alternativo a quello in carica, cercando appoggio fra i presidenti delle squadre delle serie inferiori, ovvero tra coloro che dall’attuale governo del calcio ricevevano (a titolo di mutualità) una quota minoritaria di risorse. L’establishment calcistico ha reagito violentemente, muovendo tutte le leve in suo possesso. Come dimostrano le intercettazioni telefoniche pubblicate dai giornali, poter incidere sulle prospettive di carriera degli arbitri (essere nominato direttore di gara internazionale apre le porte a rimborsi spese ricchissimi, trasferte prestigiose, designazioni alle grandi manifestazioni) permette di avere un’ovvia ed enorme influenza sul loro operato. Gli arbitraggi sfavorevoli concorrono a determinare risultati sportivi mediocri. Questi ultimi (ad esempio la mancata partecipazione a competizioni europee o, ancor peggio, la retrocessione in serie B) fanno sì che il valore commerciale dei diritti televisivi abbia a contrarsi. Questa è proprio la situazione che la squadra della capitale, il cui presidente guidava la fronda interna in Federcalcio, s'è trovata a dover affrontare. La paventata minore capacità di generare ricavi ha a quel punto reso addirittura obbligatorio che il presidente della Federazione (contro cui era stata presentata la candidatura alternativa), nella sua veste di presidente della banca d’affari verso cui la società romana era esposta per molti milioni di euro, chiedesse il rientro in tempi brevi e proponesse contestualmente la concessione di ulteriori linee di credito, in maniera da rendere ancora più penetrante la propria capacità di condizionare le scelte strategiche e di gestione del club. A quel punto due erano le scelte possibili: o insistere nel costosissimo tentativo di creare un’opposizione al sistema oppure licenziare il proprio direttore sportivo come segnale di resa. E questo è ciò che è accaduto. Camilleri dice “all’annegato, petri”, cioè “a chi annega, si tirano pietre”: il presidente della squadra romana è stato costretto a vendere un noto albergo di sua proprietà nel centro della capitale, al fine di coprire le maggiori perdite che gli sono derivate dal tentativo di mettere in discussione il governo del calcio.
Simili meccanismi hanno ostacolato lo scorso anno la candidatura del presidente di una squadra di calcio da poco rientrata nel calcio che conta alla poltrona di presidente di Lega.
A margine di tutto questo, mi viene da fare un paio di considerazioni: i) per fortuna che la magistratura è un potere terzo da tutto e soggetto soltanto alla legge. Un sistema di potere (in un settore che, giova ricordarlo, ha comunque interessi economici enormi anche nella società civile) così chiuso e capace di autopreservarsi sarebbe stato impossibile da scardinare senza l’opera dei giudici e le intercettazioni telefoniche; ii) chi ha architettato tutto questo è stato dannatamente furbo, ma non intelligente. L’albo d’oro del campionato di calcio di serie A dal 1994 ad oggi recita che, fatte salve le eccezioni delle squadre romane nei due anni a cavallo del Giubileo, solo le squadre dei dirigenti oggi coinvolti nello scandalo hanno vinto lo scudetto. Se ci fosse stata un po’ meno ingordigia e un po’ più rispetto per la sincerità della passione di chi segue il calcio, avrebbero potuto continuare a fare i loro comodi, a celebrare indisturbati il loro processo della Domenica per chissà quanti altri anni.
Ma questi non erano manager. Erano rubagalline dalle uova d’oro.
Come tifoso, non ne godo.
Come cittadino, sono felice che un po’ di legalità venga ripristinata (e che ciò venga fatto con il concorso e l’opera di Francesco Saverio Borrelli, italiano benemerito) in un ambiente, quale è quello calcistico, che si è caratterizzato specialmente negli ultimi dieci anni per un’inspiegabile sospensione dello stato di diritto. Aspetto con gioia e fiducia che le curve siano liberate da quella masnada di violenti bamboccioni, incapaci di essere semplicemente spettatori di un evento, che sono strumentalizzati politicamente da qualche ex-picchiatore fascista (oggi giusto lievemente ripulito) e la cui rabbia verso il mondo viene sfruttata economicamente dai propri capi bastone. Aspetto che finalmente gli stadi tornino territorio dello Stato italiano, ove vigono e sono fatte rispettare le leggi dello Stato italiano.
Come persona, poi, mi rallegro che l’irrazionale (ed irragionevole) mio sospetto che Lombroso sia stato il più grande scienziato di tutti i tempi abbia avuto negli ultimi due mesi un paio di prove a supporto praticamente decisive (Previti e Moggi).
Io non so quali saranno gli esiti delle inchieste penali e dei processi che probabilmente da esse scaturiranno. Non mi interessa vedere Lucianone tradotto in ceppi o Geronzi costretto a vendere la banca. Però, vorrei fosse ribadito una volta per tutte che non c’è affatto bisogno di una sentenza penale per poter condannare il comportamento di una persona. Essere cliente di prostitute non è contro la legge, ma è un comportamento socialmente esecrabile, perché concorre a determinare la schiavitù di molte delle signorine che vediamo il sabato sera in strada.
Allo stesso modo, non ho bisogno di vedere sancita da una condanna dei magistrati la disonestà di chi ha governato il calcio, ovvero l’oggetto della passione di milioni di italiani. C’era chi controllava il sistema arbitrale e il mercato dei calciatori ed era in accordo con chi poteva impedire o favorire il buon esito delle trattative di cessione dei diritti televisivi (che costituiscono la parte maggioritaria degli introiti di una società di calcio). Questo calcio era poi governato, per conto dello Stato, da chi era al contempo a capo della Federazione e presidente della banca d’affari con cui un numero elevato ed imprecisato di squadre professionistiche erano e sono indebitate fino al collo.
Il voto con cui la Lega calcio, ad inizio settimana, nonostante tutto quello che è sui giornali da circa un mese, non ha sfiduciato il proprio presidente ai più è parso quasi inconcepibile e comunque disperante. Io, invece, temo di averne perfettamente compreso il senso. Questi signori, così vessati dalla prepotenza del capostazione di Civitavecchia e dei suoi sodali, ci hanno detto che la mafia del calcio conviene anche a chi la subisce. Per questo nessuno, non un solo dirigente di quelle squadre, i cui tifosi ogni anno giurano che è l’ultima volta che fanno l’abbonamento e insieme sperano sia finalmente la stagione giusta, ha mai denunciato niente alla magistratura (ordinaria o sportiva che dir si voglia). Per questo, ancora oggi, nessuno ha formalmente mai chiesto le dimissioni ad alcuno, neppure dopo che, con una nota ufficiale, la squadra il cui amministratore delegato è anche presidente di Lega ha candidamente ammesso che quest’ultimo s’è adoperato per raccomandare un arbitro addirittura al numero due del governo italiano. All'epoca dei fatti, lo dico per i pochi lettori venusiani di questo blog, il numero uno del governo italiano era contemporaneamente anche il maggiore azionista della squadra di cui stiamo parlando e il proprietario fondatore del gruppo televisivo che si è assicurato (al termine di trattative gestite dal presidente di Lega) i diritti televisivi per trasmettere il campionato di calcio su una piattaforma (il digitale terrestre) la cui penetrazione in Italia è stata massicciamente incentivata con soldi pubblici nelle ultime tre leggi finanziarie.
L’altra faccia della medaglia, infatti, è proprio questa: le squadre di calcio, tutte, contrariamente a quanto accade negli altri paesi, vendono singolarmente i propri diritti televisivi ad ogni singola piattaforma: diritti in chiaro, diritti satellitari, diritti radiofonici, diritti per il digitale terrestre, diritti per la televisione via web, diritti per la televisione via telefonino. Se pure il sistema Moggi (che certo è il caso di chiamare comunque Moggi-Galliani, a prescindere da quanto emerge nelle intercettazioni telefoniche a carico del presidente di Lega) ha favorito i risultati sportivi delle squadre ad esso immediatamente riconducibili (falsando così i campionati), non c’è società calcistica che non abbia guadagnato dalla sua esistenza e persino dal subirne il potere.
In questi anni, si è avuto qualche tentativo di scardinare questo blindatissimo sistema di potere, ma proprio la convenienza economica che esso garantiva agli stessi club vessati ha fatto sì che chiunque abbia provato a costituire un centro di potere alternativo non abbia mai trovato alleati disposti ad abbandonare il purgatorio certo per un incerto paradiso. Qualche anno fa, il presidente di una delle squadre della capitale propose per il ruolo di presidente di Federazione un nome alternativo a quello in carica, cercando appoggio fra i presidenti delle squadre delle serie inferiori, ovvero tra coloro che dall’attuale governo del calcio ricevevano (a titolo di mutualità) una quota minoritaria di risorse. L’establishment calcistico ha reagito violentemente, muovendo tutte le leve in suo possesso. Come dimostrano le intercettazioni telefoniche pubblicate dai giornali, poter incidere sulle prospettive di carriera degli arbitri (essere nominato direttore di gara internazionale apre le porte a rimborsi spese ricchissimi, trasferte prestigiose, designazioni alle grandi manifestazioni) permette di avere un’ovvia ed enorme influenza sul loro operato. Gli arbitraggi sfavorevoli concorrono a determinare risultati sportivi mediocri. Questi ultimi (ad esempio la mancata partecipazione a competizioni europee o, ancor peggio, la retrocessione in serie B) fanno sì che il valore commerciale dei diritti televisivi abbia a contrarsi. Questa è proprio la situazione che la squadra della capitale, il cui presidente guidava la fronda interna in Federcalcio, s'è trovata a dover affrontare. La paventata minore capacità di generare ricavi ha a quel punto reso addirittura obbligatorio che il presidente della Federazione (contro cui era stata presentata la candidatura alternativa), nella sua veste di presidente della banca d’affari verso cui la società romana era esposta per molti milioni di euro, chiedesse il rientro in tempi brevi e proponesse contestualmente la concessione di ulteriori linee di credito, in maniera da rendere ancora più penetrante la propria capacità di condizionare le scelte strategiche e di gestione del club. A quel punto due erano le scelte possibili: o insistere nel costosissimo tentativo di creare un’opposizione al sistema oppure licenziare il proprio direttore sportivo come segnale di resa. E questo è ciò che è accaduto. Camilleri dice “all’annegato, petri”, cioè “a chi annega, si tirano pietre”: il presidente della squadra romana è stato costretto a vendere un noto albergo di sua proprietà nel centro della capitale, al fine di coprire le maggiori perdite che gli sono derivate dal tentativo di mettere in discussione il governo del calcio.
Simili meccanismi hanno ostacolato lo scorso anno la candidatura del presidente di una squadra di calcio da poco rientrata nel calcio che conta alla poltrona di presidente di Lega.
A margine di tutto questo, mi viene da fare un paio di considerazioni: i) per fortuna che la magistratura è un potere terzo da tutto e soggetto soltanto alla legge. Un sistema di potere (in un settore che, giova ricordarlo, ha comunque interessi economici enormi anche nella società civile) così chiuso e capace di autopreservarsi sarebbe stato impossibile da scardinare senza l’opera dei giudici e le intercettazioni telefoniche; ii) chi ha architettato tutto questo è stato dannatamente furbo, ma non intelligente. L’albo d’oro del campionato di calcio di serie A dal 1994 ad oggi recita che, fatte salve le eccezioni delle squadre romane nei due anni a cavallo del Giubileo, solo le squadre dei dirigenti oggi coinvolti nello scandalo hanno vinto lo scudetto. Se ci fosse stata un po’ meno ingordigia e un po’ più rispetto per la sincerità della passione di chi segue il calcio, avrebbero potuto continuare a fare i loro comodi, a celebrare indisturbati il loro processo della Domenica per chissà quanti altri anni.
Ma questi non erano manager. Erano rubagalline dalle uova d’oro.
1 Comments:
e meno male che c'era il giubileo, altrimenti le squadre della capitale non avrebbero mai vinto. Quello che mi incuriosisce è la vittoria del napoli.....quale evento celebrativo di massa, ha fatto si che vincesse una volta anche questa squadra? Maradona?E' lui l'evento?
28 maggio, 2006 23:04
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