"Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti." "Avanza qualcosa?" "Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io."

mercoledì, maggio 31, 2006

Una giornata tutt'altro che uggiosa

Trasferta di lavoro. Una Brianza niente affatto velenosa. Anzi, giornate di sole splendido. Già questo sarebbe sufficiente perché io registri il tutto sotto la voce Avere. In più, ho visto ed imparato cose molto interessanti, che hanno a che fare con problemi cruciali per il futuro delle imprese italiane. E dunque con il futuro dell’Italia.
Si può concretare il proprio impegno civile lavorando nelle sezioni di partito, nel sindacato, nell’associazionismo (laico o cattolico che sia) o ancora in cento altri modi. C’è poi l'agire politico, quello che pone materialmente in essere le condizioni perché le scelte strategiche si trasformino in cambiamenti reali, tangibili della società. In questi due giorni, ho visto un caso (raro) in cui si è concretamente realizzata una di quelle panacee di cui si legge ogni tre righe in qualsivoglia documento strategico, redatto per una qualsiasi finalità. Sto parlando del per certi versi mitologico circuito virtuoso tra imprese, centri di ricerca, sistema finanziario, Stato ed enti locali, capace di generare una mirabile coesistenza tra interessi privati ed interessi pubblici (che quasi sempre, ideologicamente, viene data per scontata ed automatica), grazie al quale si può affrontare il problema del recupero di competitività del nostro sistema industriale. Stavolta ho persino ben digerito (cioè senza somatizzare) tutte le inevitabili chiacchiere, trite e ritrite, sulle best-practices aziendali, cioè su quelle regolette zen (Diversificazione, Knowledge, Outsourcing, Human Capital, Information Technology e mille altre superstizioni a cui i manager d’impresa non riescono a sottrarsi) che nei manuali vengono spacciate per segreti alchemici in grado di trasformare in oro il vile metallo di una qualsiasi azienda, di qualsiasi dimensione, operante in un qualsiasi settore. In questa occasione, sono stati gli stessi ricercatori ad innescare il circolo virtuoso, individuando le possibili applicazioni industriali dei risultati del loro lavoro. È questo però un evento davvero eccezionale, in un paese in cui la ricerca serve prima di tutto a produrre cattedre accademiche. L'identificazione degli spin-off della ricerca di base è invece un’attività interdisciplinare per la quale è necessario di saper prefigurare i possibili futuri utilizzi delle nuove tecnologie in campi anche molto lontani da quelli in cui esse vengono sviluppate. Essa già oggi rappresenta un momento critico del nostro tentativo di recupero di competitività.
A lasciarmi le impressioni di cui sto dando conto ha concorso senz’altro l’aver visto “fisicamente” mandrini, torniture a diamante, pannelli insieme leggeri, resistenti e con rugosità praticamente assente, specchi per i raggi X. La cosa mi ha confortato in un altro dei miei più profondi convincimenti: è imprescindibile per un qualsiasi sistema industriale mantenere una quota minima di secondario, scendendo sotto la quale non c’è terziario che possa svilupparsi. La terziarizzazione dell’economia, persino nel pieno del processo irreversibile di globalizzazione da cui siamo investiti, ha bisogno di una quota minima di old economy che goda di ottima salute. Contrariamente a quel che si crede, questo paese possiede eccome le necessarie capacità distintive in settori ad alta tecnologia (che sono sì di nicchia, ma in grado di avere ricadute potenzialmente straordinarie sui settori tradizionali) per sostenere questa quota vitale di old economy. Ci sono imprese italiane, senz’altro sottodimensionate e per nulla aiutate da un mercato finanziario che non assolve ai propri compiti, ma che ugualmente sono dinamiche e capaci. C’è poi una ricerca di base che, nonostante le difficoltà derivanti da una strutturale scarsezza di risorse umane e finanziarie e da un’endemica incapacità di gestione, sa essere comunque alla frontiera in moltissimi campi di studio. Quel che non abbiamo sono dei catalizzatori di trasferimento tecnologico, ovvero quei soggetti (o meglio ancora quei meccanismi) in grado di: i) comprendere l’importanza per l’industria di quello che i ricercatori hanno trovato; ii) agevolare la prosecuzione e l’ulteriore ampliamento delle linee di ricerca già attive; iii) rendere visibili alle aziende le opportunità che possono scaturire dallo sfruttamento di spin-off di una ricerca di base che nasce senza alcun occhio ai suoi possibili utilizzi industriali; iv) porsi quali strumenti di straordinaria forza per l’effettiva implementazione delle politiche di sviluppo locale.
In realtà, quello che ho qui brevemente descritto è un vero e proprio servizio pubblico e, dunque, non sono sicuro sia corretto (in linea di principio) che ad innervare questo tessuto connettivo così importante per la nostra economia non sia un soggetto che porta sul capo un cappello istituzionale. (Per le stesse ragioni, credo non sia stato corretto privatizzare i grandi monopoli naturali.)
Se mai il neocostituito Ministero dello Sviluppo Economico istituirà un proprio “Gruppo Enzimi per il Trasferimento Tecnologico (GETT)”, ebbene io manderò un CV.

1 Comments:

Anonymous Anonimo said...

allora c'è speranza per questo nostro disperato e spudorato paese

04 giugno, 2006 15:14

 

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