"Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti." "Avanza qualcosa?" "Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io."

venerdì, novembre 30, 2007

Apple pie, Charlie Brown?

C’era una volta un omino che vendeva fette di torta di mele. Non aveva particolari talenti. Non era un genio della matematica, quell’omino. Dalla sua bocca non uscivano parole dolci che facevano innamorare le ragazze. Però sapeva fare una torta di mele eccezionale. Si svegliava la mattina presto e, per prima cosa, cucinava la torta di mele. Poi, si vestiva, coprendosi bene, e si metteva all’angolo della via principale del paese a vendere i suoi dolci. Vendute tutte le fette, tornava a casa. E così si guadagnava da vivere.
Un giorno si disse: “Se invece di fare una sola torta ne facessi – che so – cinque, forse potrei anche comprarmi una coperta nuova. E magari pure una mucca. Però devo diventare più bravo. Oggi per fare una torta mi ci vogliono quattro ore. Devo riuscire a farne una ogni ora.”
E tanto si impegnò e migliorò che alla fine ci riuscì. Le sue torte erano talmente buone che sempre più persone venivano a comprarle. Ogni giorno c’erano clienti che arrivavano al suo banco quando le fette erano ormai finite e rimanevano delusi. L’omino non solo riuscì a comprarsi la coperta e la mucca, ma anche un maiale e una casa.
Allora l’omino si disse: “Ormai sono diventato bravissimo a fare le torte. Certo, se avessi qualcuno che al mattino mi prenda le uova fresche dal pollaio e qualcun altro che, mentre impasto, mi accenda il forno, potrei farne cinquecento, invece che cinque. Figuriamoci poi quante potrei farne, se solo avessi un secondo forno. Se poi cucinassi le torte la sera e le vendessi non soltanto di pomeriggio, ma anche di mattina, potrei guadagnare ancora molto di più”.
Fu così che l’omino usò tutti i suoi soldi per costruire un secondo forno e per pagare altre persone che preparassero i dolci insieme a lui. Ormai era in grado di cucinare un numero incredibile di torte, ogni giorno sempre più buone. Comprò anche un banco più grande per vendere le fette.
Si sentiva felice.
Un giorno, però, qualcosa cambiò. Era ormai quasi mezzogiorno e, stranamente, nessuno si era ancora fermato al suo banco. Anzi, tutte le persone che solitamente venivano a comprare le sue torte passavano di lì e andavano via. L’omino non sapeva cosa pensare. Finalmente vide arrivare verso il suo angolo uno che conosceva.

- “Buongiorno, signore. Vuole un po’ di torta di mele?”
- “No, la ringrazio.”
- “Ma guardi che oggi le faccio un prezzo speciale: solo tre monete.”
- “No, grazie. Ne ho già mangiate già tre fette oggi.”
- “Impossibile. Non l’ho vista, oggi. Oggi, a dir la verità, non è venuto nessuno. Non ho venduto neppure una fetta.”
- “Ho mangiato tre fette di torta alla festa. Si figuri, poi, che erano gratis e allora me ne han date anche altre due da portarmi a casa.”
- “Non sapevo che ci fosse una festa in paese e neppure che regalassero la torta di mele. E dov’è la festa?”
- “Giù in piazza, vede? Lì, dove ci sono i palloncini e la musica.”
- “Ah. E si può andare liberamente in piazza?”
- “Certo, liberamente. Entrare costa solo cento monete.”

venerdì, novembre 16, 2007

Con quella faccia un po' così...

Domani sera, più o meno alle undici, sapremo se il commissario tecnico della nostra nazionale di calcio è un grande stratega o un perfetto imbecille. Spartiacque è la partita contro la Scozia, compagine che si è insospettabilmente, ma con pieno merito, insediata tra le pretendenti alla qualificazione ad Euro 2008.
Noi italiani siamo maestri nel produrre luminose analisi chiarificatrici. Siamo soliti, però, esercitarci nella nobile arte dell’esegesi soltanto a risultato avvenuto. Posso essere certo, dunque, che dopodomani mattina i quotidiani sportivi e non saranno ben pieni di preziosi articoli che ci spiegheranno come e perché il nostro allenatore sarà stato o non sarà stato in grado di mettere i nostri in condizione di battere i pronipoti di William Wallace.
Io sento invece il desiderio di dire subito da che parte sto. Io reputo Donadoni un bravo cittì e spero che domani sera l’Italia ce la faccia.
Mi piace il suo essere sempre normale, anche noioso se si vuole. Mi piace la misura che cerca di tenere in ogni dichiarazione. Mi piace che sia più un uomo di campo che da salotto televisivo. Mi piace che ragioni come un atleta e non come un uomo di spettacolo. Mi piace che non abbia cercato pateticamente di essere diverso da quel che è, accettando di pagare il fio di un carattere che lo rende tutt’altro che benvoluto a quanti campano raccontando il calcio agli Italiani in una maniera sempre e comunque sopra le righe.
Mi piace che sia il simbolo della brevissima parentesi rivoluzionaria del calcio italiano, quando, dopo il temporale che spazzò via Carraro, Moggi e soci, una classe dirigente federale diede un segno di discontinuità forte, puntando su un vero outsider per la sostituzione del campione del mondo Lippi. A ben vedere, questo è il peccato originale che ancora il mondo del calcio non perdona a Donadoni: non la sconfitta con la Francia, non il pareggio con la Lituania, ma l’essere stato nominato da quelli che possono essere considerati i Mazzini, Saffi ed Armellini della FIGC, ovvero Rossi, Nicoletti ed Albertini. Poi, al pari di quello che guidò la Repubblica Romana, anche questo triumvirato ebbe vita breve. I sempiterni Abete e Matarrese hanno preso di nuovo il comando dell’azienda-calcio e questo Donadoni deve sembrar loro una specie di monumento alla memoria dello scandalo di Calciopoli. Una roba da rimuoversi al più presto, tale e quale a una statua di Stalin a Mosca durante la Perestrojka.
Inoltre, sul piano tecnico, a prescindere da come andrà la questione della qualificazione (per la quale sono comunque ottimista), ritengo che Donadoni sia stato pienamente all’altezza del compito. Ha gestito, secondo me, in maniera impeccabile la vicenda dell’addio di Totti alla maglia azzurra. Lo ha fatto da vero uomo di calcio che difende l’onore dei suoi ragazzi. Probabilmente Totti è il giocatore più forte del mondo. Se non è il più forte, è uno dei cinque più forti. E sicuramente, nonostante le sue precarie condizioni fisiche, egli è stato fondamentale per la vittoria in Germania. Ebbene, in uno sport di squadra, non è accettabile che un giocatore, neppure uno forte come Totti, possa dire ai suoi compagni: voi fate le qualificazioni, che io torno alla fase finale. Il cuore dello scontro con Totti è stato questo. Il capitano giallorosso, il cui attaccamento alla maglia azzurra è peraltro fuori discussione dopo il prodigioso recupero fatto per il mondiale, ha provato ad imporre al ct questa condizione per il proprio impiego in nazionale. Nonostante la scelta lo rendesse ancora più impopolare e che in quel momento una polemica con il giocatore più rappresentativo d’Italia non rafforzasse affatto la sua posizione, Donadoni ha avuto la forza di tenere il punto, non accettando questo compromesso, che se da un lato gli avrebbe garantito la presenza di Totti in qualche eccezionale occasione, dall’altro gli sarebbe valso il sincero e giustificato disprezzo del resto dello spogliatoio. La bontà della scelta di Donadoni deve essere apparsa chiara anche a Nesta, il quale, dopo un iniziale atteggiamento tentennante, simile a quello tenuto per oltre un anno dal dieci giallorosso, ha poi dato notizia del suo addio definitivo alla maglia azzurra. Io credo che, dopo aver affrontato questi due casi, il rispetto dello spogliatoio azzurro verso Donadoni sia sensibilmente aumentato. Del resto, davvero l’allenatore della nazionale ha sempre tirato dritto per la sua strada, senza farsi condizionare più di tanto né dai titoli dei giornali, né dal prestigio degli illustri esclusi. Basti pensare al Del Piero che prima della doppia sfida con Francia ed Ucraina reclamava tramite stampa un posto fisso da punta per entrambe le gare. Risultato: 80’ da esterno sinistro di centrocampo contro la Francia e tribuna contro gli Ucraini. Di lì in poi, neppure la convocazione. D’altronde, sotto la guida di Donadoni, questa sta diventando la nazionale degli Iaquinta, dei Di Natale, degli Aquilani, dei Quagliarella, dei Chiellini, che può tranquillamente fare (e di fatto fa) a meno di alcuni senatori campioni del mondo. Nonostante una panchina traballante sin dall’inizio, il ritiro dal club azzurro dei due calciatori italiani migliori (Totti e Nesta) e gli infortuni di alcuni uomini cardine (Materazzi, Toni, Camoranesi per dire solo dei più importanti), la nostra nazionale ha fatto 23 punti in 10 gare (7V 2N 1P). È questo un ruolino di marcia che in un qualsiasi altro girone sarebbe stato più che sufficiente per una tranquilla qualificazione. Nello sport, però, c’è anche la bravura degli avversari - in questo caso gli scozzesi - e dunque siamo ancora qui a dover fare l’ultimo passettino.
E allora, stavolta, dopo ben quattordici anni di autocensura, dico: forza Italia. E forza Donadoni.

sabato, novembre 03, 2007

Italia fai-da-te

L’aggressione ai tre romeni di Tor Bella Monaca è stata opera di neofascisti. Loro, ovviamente, è la responsabilità materiale dell’azione. Ritengo, invece, che Walter Veltroni ne abbia la responsabilità politica. Se il sindaco di una città come Roma, che ha sempre accolto tutti, protestando formalmente con il governo di Bucarest, dice “Ora basta, i romeni hanno colmato la misura”, se anche quella cosa tumefatta e purulenta che dovrebbe essere (e non è) la sinistra di questo paese cede alla tentazione del consenso facile, assecondando gli istinti più bassi e le paure di una società che è sempre più difficile chiamare civile, azioni squadriste come quella di ieri sono la sola cosa che ci si può aspettare.
Oggi, dopo l’aggressione, il problema dell’immigrazione è rimasto esattamente tale e quale. La politica, però, spaventata da quel che ha combinato, fa prontamente marcia indietro. “No all’odio” scandisce stentoreamente il primo cittadino di Roma (e prontamente i giornali amici riverberano il nuovo Vangelo), a cui risponde una ferma dissociazione dall’azione criminosa e dai suoi autori da parte dei nostri post-fascisti, da poco faticosamente accolti nel club delle destre moderne ed europee. Oggi sono tutti ansiosi di operare quei sottili distinguo tra romeni mascalzoni e romeni onesti, tra immigrati regolari ed irregolari, che fino a ieri, secondo tutti, erano invece l’emblema di uno smidollato lassismo che sta consegnando questo paese ai barbari.
Io spero che tutti noi, nonostante l’illusionismo sociologico con cui la nostra tv ci seda, raccontandoci una realtà che non esiste, ci si renda conto dell’incredibile arretramento della nostra società che un fatto come quello accaduto ieri testimonia. Stavolta è toccato ai romeni, domani toccherà agli omosessuali, dopodomani ai laziali, chi lo sa. Stiamo accettando che qualunque minoranza, qualunque realtà che venga identificata come una minaccia, verso cui la risposta dello Stato sia giudicata (o anche sia effettivamente) insufficiente, possa essere oggetto di giustizia sommaria, individuale, assoluta.
Questo è l’ovvio risultato di una politica esclusivamente di piccolo cabotaggio, imperniata sull’ottenimento del consenso a tre giorni e trasformata in una permanente campagna elettorale continuamente in onda sui media.
Il PD serve solo a questo: a vincere questo tipo di competizione politica. Con buona pace dei romeni e di tutti gli altri “incidenti di percorso”, tra i quali l’aspirazione a una società più equa e libera.