"Dunque. Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti." "Avanza qualcosa?" "Sì, noi due, per esempio. O almeno, non per offendere, io."

lunedì, aprile 30, 2007

Menu → Rubrica → Elimina → Uno ad uno

Detesto scoprirmi violento. Eppure mi capita, come credo accada non solo a me, di compiere, quasi inconsapevolmente, gesti intrinsecamente violenti.
Ero in macchina, fermo, aspettando che arrivasse l’ora del mio appuntamento. Ascoltavo la radio, masochisticamente affliggendomi con le telefonate da casa di dichiarati prossimi elettori del Partito Democratico. Avevo chiaramente bisogno di qualcos’altro che mi aiutasse a superare l’abiezione del momento che mi stavo ritagliando. E, dunque, quale altra migliore occasione per il necessario mantenimento della rubrica del telefonino? Direte: “E allora? Dov’è la violenza?
L’operazione appare in effetti banale. Invece, essa implica una serie di valutazioni tutt’altro che leggere. Pensate a come accade la cosa. Come primo passo, si scorre, nella sua interezza, la lista delle persone di cui si ha il contatto. Come altro definire questo passaggio, se non già come un vero e proprio autodafè della propria esistenza? In un centinaio di nomi, asetticamente ordinati in successione alfabetica, c’è quello che, con ogni evidenza, è un distillato della nostra vita: i pochi compagni della scuola che hanno resistito all’usura del tempo, il meccanico, mamma, la cugina che vive in Germania, il dentista, il cellulare del capo, il numero di casa, il numero di quella coppia che si è incontrata tre anni fa al mare e che era tanto simpatica (come si chiamava il marito?), il circolo del calcetto. E così via, sgranando il rosario.
Inevitabilmente, chiuso il cerchio dalla A alla Z, si hanno dieci secondi durante i quali, un po’ sgomenti, ci si dice “Tutto qui?”. A scacciare immediatamente questa sgradevole sensazione, si parte con il secondo giro, in cui si selezionano i non meritevoli di restare con noi, quelli che dovranno lasciare il posto a chi verrà nella nostra vita. Ed ecco la violenza: perché non si giudica sulla base di quello che la persona ha rappresentato per noi, ma per quello che rappresenterà in futuro. C’è, insito in questa valutazione, un calcolo di opportunità (e - temo - di opportunismo). Nel decidere se ci sia ancora utile o meno un certo numero di telefono, di fatto sottoponiamo al medesimo vaglio la persona a cui esso appartiene. La ristrettezza delle nostre rubriche (e della nostra memoria, dunque) ci impone, per mantenere intatte le nostre speranze di un futuro ricco di cose bellissime, di tagliare ricordi felici che si pensa non torneranno più. (Sarà per questo che davvero il telefonino è diventata una nostra appendice, qualcosa che non possiamo tollerare di dimenticare a casa, quando al mattino iniziamo la nostra giornata?)
Per ogni nome in predicato di essere cancellato si apre un vero e proprio processo in cinque secondi, secondo un rito che avrebbe fatto felice Achille Campanile: “Non lo vedo più, ormai. Però, è uno che mi piace. Quanto ci siamo divertiti in Croazia quell’anno... Anzi, chissà perché non ci siamo più sentiti. Mi sa per la donna, che è una a cui non sono mai andato a genio. E lui ha ceduto. Mah.. Però, forse, anche io se dovessi scegliere tra la lei e un amico, che farei? Comunque non vedo come possa cambiare questa situazione e dunque lo cancello. Se mai mi dovesse servire qualcosa, chiedo il suo numero a Luca.
Abbiamo assorbito, anche nei rapporti umani, la logica aziendalista, facendo nostro l’imperativo di eliminare i costi inutili, di tagliare i rami secchi.
La cosa che più mi indigna di me è che, appena commesso il delitto in punta di tasto, ho persino il cattivo gusto e l’ignavia di pensare che, se per caso mi dovesse capitare di incontrare fortuitamente il tipo che ho appena eliminato dalla casa del mio Grande Fratello, avrò sempre la possibilità di dirgli: “Sai, ho perso il cellulare e non avevo più il tuo numero.

Violento. E pure vigliacco.

martedì, aprile 10, 2007

Tangram

Nascerà il Partito Democratico. Semplificando, DS e Margherita si sommano, al netto di alcune loro costole riottose, che sceglieranno la (sempre dolorosa, in questi casi) via della scissione. Il 75% degli iscritti dei DS, che si appressano al Congresso, si è detto favorevole alla mozione che impegnerà il partito all’irreversibile scelta di confluire nel PD. Allo stesso tempo, però, leggo proprio oggi su “Repubblica” il seguente titolo: “PD, avanti tutta. Ma nelle sezioni i militanti si vedono come fratelli separati”.
La creazione del PD non è riconosciuta come un processo che viene dal basso. Le rispettive basi, di post-comunisti e post-democristiani sembrano piuttosto subire questa aggregazione coatta.
Si dirà: “Ma come? E i quattro milioni di votanti delle primarie? Non sono quelli forse la base del PD, non sono i fratelli finalmente uniti?
Forse sì, ma, anzi soprattutto, forse no. Sono incline a pensare che quello fosse (e sia tuttora) un pezzo di Italia che si caratterizza per la propria fortissima contrarietà alle recenti evoluzioni della nostra società: l’allontanamento progressivo se non dalla lettera, sicuramente dallo spirito della Costituzione, la chiusura sempre più impermeabile della politica alle istanze della società civile, il sentimento di inutilità che accompagna i sempre più rari momenti di partecipazione, la sottomissione della politica all’economia, il rifiuto di un modello culturale e sociale esclusivamente mutuato dalla televisione, l’individualismo assoluto (prima ancora che la solitudine) che trae origine da un consumo compulsivo, disperato, bulimico. Il popolo delle primarie non era formato da gente che desidera vedere film bulgari con i sottotitoli in uzbeko, ma da persone che, tutto sommato, non capiscono perché sia necessariamente impossibile che una volta al mese in prima serata ci venga servito Albertazzi o Fo (o chi altri volete voi) che legge le pagine più belle di Dickens o Pirandello. E, con l’amarezza della minoranza bistrattata che non ha cittadinanza televisiva, benedicono (sic!) Piero Angela. Culturalmente, prima ancora che politicamente, quei quattro milioni di persone hanno benedetto e dato forza al progetto che intendeva sconfiggere Berlusconi, perché identificano quest’ultimo come il soggetto che – pur in ottima e varia compagnia – ha massimamente accelerato lo sfilacciamento del (certo di per sé già non saldissimo) tessuto sociale italiano.
Ma questo non è il popolo del PD, prima di tutto perché tanto a destra, quanto a sinistra ci sono persone che rifiutano il modello culturale – e dunque sociale, sempre più - al cui affermarsi Berlusconi ha contribuito grandemente. Inoltre, un conto è dare una testimonianza (che è quel che, credo, ha animato chi votò alle primarie del centrosinistra, dove, si ricorderà, c’era un bel nulla da decidere, essendo Prodi il solo candidato), ben altro conto è dare la propria adesione ad un progetto politico.
Ma esiste questo progetto politico? Qual è la mission del PD, direbbero gli aziendalisti (tutti, non solo i consulenti globali di Publitalia)? Non riesco a trovarne una. Senza stare a scomodare le ideologie, che riposano in pace sul polveroso scaffale del Novecento, in un’economia di mercato con sempre meno regole ed un sempre minore ruolo dello Stato la questione che ancora differenzia socialisti e liberali europei è quale grado di priorità si dia alla redistribuzione del reddito ovvero quale sia il desiderato grado di correzione per opera della mano pubblica alle risultanze del mercato. Un PD che sommi, senza saperle fondere, le diverse tradizioni politiche dei soggetti che vi confluiscono non saprà mai avere una voce chiara, riconoscibile, univoca su questo tema fondamentale. E, del resto, come si può ragionevolmente pretenderla da un soggetto che, prima ancora di venire alla luce, sa che sconterà la contraddizione di essere sinistra in Italia e di non poterlo essere in Europa, per propri irrisolti ed irresolubili contrasti interni? Prima ancora che senza un’identità programmatica (il che già di per sé sarebbe motivo sufficiente a rivedere il progetto), il PD nasce per scelta, cioè programmaticamente, senza una sua possibile propria identità.
Allora, di che si sta parlando? Parliamo, credo, di strategia della tattica. Il PD è strategico perché è il soggetto: i) che ha una sufficiente massa critica per vincere le elezioni in un sistema bipolare, senza pagare, come oggi accade, un tributo eccessivo ai partiti minori, evitando contestualmente che ii) quella parte di mondo cattolico oggi schierata a sinistra si faccia vincere dalle tentazioni neocentriste e proporzionaliste impersonate da Casini, nella consapevolezza (o speranza) che iii) tutto quello che viene lasciato a sinistra del PD sarà comunque sommabile e spendibile.
In Parlamento, i favorevoli al bipolarismo sono in numero maggiore dei fautori al ritorno al proporzionale senza premio di maggioranza. Le ragioni sono presto dette: si tornasse al proporzionale, AN, nonostante il percorso ormai quasi ventennale di avvicinamento al centro, sarebbe rispedita all’ala destra, ben pasciuta di consensi, inspendibili però da chicchessia; attorno a Casini si ricoagulerebbe la vecchia DC, che, riprendendosi lo spazio occupato oggi da una FI dalla leadership spompata, darebbe vita, senza dubbio, ad un partito in grado di ottenere con facilità e regolarità la maggioranza relativa; il PD (pur nella ottimistica ipotesi che riesca nell’unità a sinistra, cosa tutt’altro che scontata) sarebbe in questo scenario un soggetto che, pur dopo i tanti sacrifici compiuti (la svolta - che per alcuni fu abiura - l’entrata nel socialismo europeo, la fornitura di prove provate di fedeltà atlantica), mai avrebbe alcuna concreta speranza di vittoria alle elezioni.
Allora, si rimarrà nel bipolarismo (con tutta probabilità rafforzato da un sistema elettorale maggioritario), perché FI, AN, DS e gli ex democristiani oggi nella Margherita non vogliono il ritorno della bianca balena.

Avete presente il Tangram, quell’antico gioco cinese in cui sette figure geometriche, disposte in maniera acconcia, formano un quadrato perfetto? Ecco, il PD sembra nascere con l’esclusiva ragione di disporre la figura geometrica seconda per grandezza, in maniera tale che l’unica altra figura più grande non riesca a trovare spazio.
Mi sembra poco. Davvero poco.

lunedì, aprile 02, 2007

Il Grosso

Il Grosso ha mani sgraziate e pensiero ondivago. Si fosse sciocchi, lo si penserebbe buono e ottuso, come Garrone. Nelle anse della sua costa frastagliata, invece, sono tesori. Sconosciuti ai più, lui per primo. Cartografo di sé (ma senza metodo), rumoroso esploratore della sua propria geografia, il Grosso è goffo, ma ha animo gentile e sottile. Incassa e mette via. Depura, sgrezza, si libera. E continuamente nasce, sotto i miei occhi, dal suo blocco di marmo. Già può usare entrambe le braccia. Il Grosso è ora un tronco, ritto al vento, sempre più quercia e meno pino di Roma.
Eppure, nelle notti d’estate, quando tutto è altrove, il Grosso canta canzoni segrete, dice parole indicibili, finalmente sa.

Lo Scuro

Lo Scuro ha occhi chiari, limpidi. Guarda lontano e vede quel che ancora non è qui. Il suo pensiero è un rasoio affilato, da maneggiare con cura. Pensa lontano, lo Scuro, perché la sua vita è una gomena, spessa. Se scricchiola, è solo per ricordare quanto sia salda e quanto poco possano le blande onde del porto. Lo Scuro si proietta, anzi è un proiettile che ha già visto dove si conficcherà: lì, dove era detto (chissà quando, chissà da chi) che fosse il suo posto. Cavallo nevrile, lo Scuro, scalpita. Morde il freno, schiuma alla bocca. Lo Scuro è una fionda tesa.
Sentiremo il sibilo, il tonfo sordo di Golia e migliaia di uccelli alzarsi tutti insieme.

Il Grigio

Il Grigio sale una scala. E ad ogni passo, quello che più sotto era solo un piolo (stretto, aguzzo sotto il piede), si fa via via più largo. E comodo. Il gradino in cui si trova ora è un grande spazio, in cui ci sono piante lussureggianti ed un acquario di pesci tropicali. Ogni tanto, il Grigio si sporge e getta lo sguardo fin dove, da quell’altezza, può arrivare. Chiude appena gli occhi, respira profondamente e torna a salire. Il Grigio vede la fine della scala e sale, convinto. È la sua forza. Ogni passo lo ha fatto più forte, persino più bello. È tutto Pensiero Dedicato, il Grigio, fino a quando non schiude il suo sorriso.
E lì è solo profumo di pane, burro e alici.