I love this game
Io amo il calcio. Penso sia davvero il gioco più bello del mondo. Forse in nessun altro sport come nel calcio il risultato di una gara è così in bilico tra il poter essere deciso dall’invenzione di un singolo o dal furioso applicarsi di un coro senza corifei.
Ogni estate, nel periodo di secca, m’aiuto con lo sciocco vaniloquio del calciomercato e tento di autoconvincermi che l’attesa è davvero il più sublime dei piaceri. Insomma, consumo calcio, in maniera consapevole e convinta. Faccio parte di quella fitta schiera di calciofili che per vedere la miseria di venti minuti di servizi sulle partite della domenica, invece di rifiutarsi come orgoglio e dignità pretenderebbero, si beve pomeriggi di pessima tv, fatta di chiacchiere false e tonnellate di pubblicità.
Questo breve, eppur necessario, autodafé serve a dire che non sono in alcun modo apparentabile a coloro che sono soliti sdegnarsi per gli stipendi astronomici dei calciatori, a quelli che considerano una partita di calcio lo spettacolo di ventidue imbecilli in braghette dietro ad un pallone, ai tanti puri di cuore che, ogni quattro anni, in corrispondenza dei Giochi Olimpici, riscoprono quanta maggiore dignità risieda negli atleti del Keirin.
So accettare l’avida falsità dei procuratori, l’idiozia della moviola, il cinismo delle radio private che danno voce a tifosi che non hanno nulla da dire, la mancanza di qualsiasi etica nei rapporti tra squadre, a confronto delle quali le contrade del palio di Siena somigliano ad educande sprovvedute e ingenue.
C’è, però, una cosa che arriva a guastarmi il piacere del pallone, là dove non possono la cupidigia economica, l’insulsaggine e la disonestà: il tifo ultrà.
È notizia di ieri che i passeggeri dell’Intercity Napoli-Torino, in possesso di regolare titolo di viaggio, per provvedimento delle autorità di pubblica sicurezza, sono stati fatti scendere dal treno, a causa della presenza sul convoglio dei tifosi del Napoli, di nuovo in trasferta alla volta della Capitale dopo sette anni di divieti. Il provvedimento ha avuto certamente ragion d’essere, dal momento che all’arrivo alla stazione di Roma Termini il treno riportava danni per circa 500.000€.
Certo è gravissimo e realmente insopportabile che la collettività debba ripagare i costi di questo scempio. Non è però neppure questo che riesce ad inquinare la mia passione calcistica. Quel che davvero, in ormai sempre meno rari momenti di lucidità, mi rende impossibile continuare a consumare calcio è vederlo utilizzato come pretesto per una guerra eversiva.
Il solito, pervasivo conflitto di interessi del signor B. (proprietario di squadra e proprietario delle televisioni che comprano gli eventi calcistici) rende meno semplice che sui media si chiamino le cose con il proprio nome. Si parla di teppisti che non sono tifosi, si compatiscono le povere menti che si fanno coinvolgere da una delirante idolatria congiunta di Totti e Mussolini, si offrono raffinate letture sociologiche del disagio giovanile, si condanna duramente la violenza, si piangono i morti. Quasi da nessuna parte, però, si scrive o si dice che siamo di fronte ad un fenomeno di terrorismo eversivo, non so dire se più o meno grave del brigatismo, ma che certamente di quest’ultimo ha la medesima natura.
Da anni, ormai, le tifoserie (fatte salve alcune luminose eccezioni che pure non ci vogliamo far mancare) non combattono più le une contro le altre, ma uniscono i loro mezzi contro un nemico comune: lo Stato. La guerra ha per oggetto principale l’extraterritorialità dei luoghi del calcio: stadi, treni, autogrill, strade. Gli ultrà vogliono affermare il principio che, là dove c’è calcio, non vige più il sistema delle regole dello Stato, ma uno alternativo che lo Stato deve rassegnarsi a concertare con loro. Ho sentito esprimere ieri sera in tv moderata soddisfazione perché almeno stavolta non s’è dovuto raccogliere nessuno da terra. Ovviamente rende felici che nessuno abbia perso la vita. Non si può però dirsi soddisfatti di alcunché: se il punto vero del conflitto è l’accreditamento degli ultrà come parte belligerante, qualunque concessione, qualsiasi “apertura di credito” è già una sconfitta. La vittoria dello Stato, ahinoi, passa per le difficoltà che gli appassionati veri, i padri con i figli, desiderosi di vedersi la partita, sopportano per recarsi allo stadio, nella convinzione che se c’è un’emergenza da gestire, allora si accetta di veder compresse le proprie libertà: mostrare i documenti di identità per acquistare biglietti, non poter acquistare i tagliandi direttamente allo stadio, essere perquisiti fuori ed spiati dalle telecamere all’interno dello stadio. Se una lotta intransigente contro il tifo ultrà ha come prezzo tutto questo, ebbene sono contento di pagarlo e che si chieda di pagarlo a noi cittadini. In questo senso, allora, qualsiasi “apertura di credito” è un errore, anzi è un tradimento verso la società civile, che alla fine è la sola a patire veramente gli ostacoli della blindatura e della militarizzazione degli stadi.
Il tifo organizzato, con buona pace delle varie curve, non è parte diretta dell’evento calcio. Gli ultrà, nonostante i loro sforzi criminali, sono e restano un fatto accessorio, senza il quale il calcio può giocarsi magnificamente e, anzi, meglio. Il punto più basso a cui si è arrivati fu in un derby romano della primavera di quattro anni fa, che fu sospeso quando circolò la notizia, poi rivelatasi del tutto infondata, di una bambina investita ed uccisa da un’auto della polizia. I capi delle tifoserie entrarono in campo a “spiegare” a giocatori, giudici di gara e delegati della Lega calcio, che non c’erano più le condizioni per proseguire. E la partita, in un improvvisato summit di pubblica sicurezza, nel quale gli ultrà hanno avuto la parola definitiva, venne sospesa.
Tutto questo è non solo intollerabile, ma anche pericoloso e richiede una risposta forte, immediata, frontale. In ogni curva ci sono pochi capibastone, che utilizzano il collante dell’ideologia politica per accrescere e compattare la propria falange di ragazzi sempre più giovani. Con l’occasione, mentre arruolano e forgiano, realizzano fatturati di tutto rispetto. Per il bene del Paese (non del calcio), ritengo indispensabile che lo Stato agisca verso di loro come è doveroso fare di fronte a una strategia eversiva, che punta a minare (sia pure in un contesto definito e limitato, quello calcistico) l’ordine costituito.
Come insegna la storia di Al Capone, anche l’evasione fiscale può andare bene.
Ogni estate, nel periodo di secca, m’aiuto con lo sciocco vaniloquio del calciomercato e tento di autoconvincermi che l’attesa è davvero il più sublime dei piaceri. Insomma, consumo calcio, in maniera consapevole e convinta. Faccio parte di quella fitta schiera di calciofili che per vedere la miseria di venti minuti di servizi sulle partite della domenica, invece di rifiutarsi come orgoglio e dignità pretenderebbero, si beve pomeriggi di pessima tv, fatta di chiacchiere false e tonnellate di pubblicità.
Questo breve, eppur necessario, autodafé serve a dire che non sono in alcun modo apparentabile a coloro che sono soliti sdegnarsi per gli stipendi astronomici dei calciatori, a quelli che considerano una partita di calcio lo spettacolo di ventidue imbecilli in braghette dietro ad un pallone, ai tanti puri di cuore che, ogni quattro anni, in corrispondenza dei Giochi Olimpici, riscoprono quanta maggiore dignità risieda negli atleti del Keirin.
So accettare l’avida falsità dei procuratori, l’idiozia della moviola, il cinismo delle radio private che danno voce a tifosi che non hanno nulla da dire, la mancanza di qualsiasi etica nei rapporti tra squadre, a confronto delle quali le contrade del palio di Siena somigliano ad educande sprovvedute e ingenue.
C’è, però, una cosa che arriva a guastarmi il piacere del pallone, là dove non possono la cupidigia economica, l’insulsaggine e la disonestà: il tifo ultrà.
È notizia di ieri che i passeggeri dell’Intercity Napoli-Torino, in possesso di regolare titolo di viaggio, per provvedimento delle autorità di pubblica sicurezza, sono stati fatti scendere dal treno, a causa della presenza sul convoglio dei tifosi del Napoli, di nuovo in trasferta alla volta della Capitale dopo sette anni di divieti. Il provvedimento ha avuto certamente ragion d’essere, dal momento che all’arrivo alla stazione di Roma Termini il treno riportava danni per circa 500.000€.
Certo è gravissimo e realmente insopportabile che la collettività debba ripagare i costi di questo scempio. Non è però neppure questo che riesce ad inquinare la mia passione calcistica. Quel che davvero, in ormai sempre meno rari momenti di lucidità, mi rende impossibile continuare a consumare calcio è vederlo utilizzato come pretesto per una guerra eversiva.
Il solito, pervasivo conflitto di interessi del signor B. (proprietario di squadra e proprietario delle televisioni che comprano gli eventi calcistici) rende meno semplice che sui media si chiamino le cose con il proprio nome. Si parla di teppisti che non sono tifosi, si compatiscono le povere menti che si fanno coinvolgere da una delirante idolatria congiunta di Totti e Mussolini, si offrono raffinate letture sociologiche del disagio giovanile, si condanna duramente la violenza, si piangono i morti. Quasi da nessuna parte, però, si scrive o si dice che siamo di fronte ad un fenomeno di terrorismo eversivo, non so dire se più o meno grave del brigatismo, ma che certamente di quest’ultimo ha la medesima natura.
Da anni, ormai, le tifoserie (fatte salve alcune luminose eccezioni che pure non ci vogliamo far mancare) non combattono più le une contro le altre, ma uniscono i loro mezzi contro un nemico comune: lo Stato. La guerra ha per oggetto principale l’extraterritorialità dei luoghi del calcio: stadi, treni, autogrill, strade. Gli ultrà vogliono affermare il principio che, là dove c’è calcio, non vige più il sistema delle regole dello Stato, ma uno alternativo che lo Stato deve rassegnarsi a concertare con loro. Ho sentito esprimere ieri sera in tv moderata soddisfazione perché almeno stavolta non s’è dovuto raccogliere nessuno da terra. Ovviamente rende felici che nessuno abbia perso la vita. Non si può però dirsi soddisfatti di alcunché: se il punto vero del conflitto è l’accreditamento degli ultrà come parte belligerante, qualunque concessione, qualsiasi “apertura di credito” è già una sconfitta. La vittoria dello Stato, ahinoi, passa per le difficoltà che gli appassionati veri, i padri con i figli, desiderosi di vedersi la partita, sopportano per recarsi allo stadio, nella convinzione che se c’è un’emergenza da gestire, allora si accetta di veder compresse le proprie libertà: mostrare i documenti di identità per acquistare biglietti, non poter acquistare i tagliandi direttamente allo stadio, essere perquisiti fuori ed spiati dalle telecamere all’interno dello stadio. Se una lotta intransigente contro il tifo ultrà ha come prezzo tutto questo, ebbene sono contento di pagarlo e che si chieda di pagarlo a noi cittadini. In questo senso, allora, qualsiasi “apertura di credito” è un errore, anzi è un tradimento verso la società civile, che alla fine è la sola a patire veramente gli ostacoli della blindatura e della militarizzazione degli stadi.
Il tifo organizzato, con buona pace delle varie curve, non è parte diretta dell’evento calcio. Gli ultrà, nonostante i loro sforzi criminali, sono e restano un fatto accessorio, senza il quale il calcio può giocarsi magnificamente e, anzi, meglio. Il punto più basso a cui si è arrivati fu in un derby romano della primavera di quattro anni fa, che fu sospeso quando circolò la notizia, poi rivelatasi del tutto infondata, di una bambina investita ed uccisa da un’auto della polizia. I capi delle tifoserie entrarono in campo a “spiegare” a giocatori, giudici di gara e delegati della Lega calcio, che non c’erano più le condizioni per proseguire. E la partita, in un improvvisato summit di pubblica sicurezza, nel quale gli ultrà hanno avuto la parola definitiva, venne sospesa.
Tutto questo è non solo intollerabile, ma anche pericoloso e richiede una risposta forte, immediata, frontale. In ogni curva ci sono pochi capibastone, che utilizzano il collante dell’ideologia politica per accrescere e compattare la propria falange di ragazzi sempre più giovani. Con l’occasione, mentre arruolano e forgiano, realizzano fatturati di tutto rispetto. Per il bene del Paese (non del calcio), ritengo indispensabile che lo Stato agisca verso di loro come è doveroso fare di fronte a una strategia eversiva, che punta a minare (sia pure in un contesto definito e limitato, quello calcistico) l’ordine costituito.
Come insegna la storia di Al Capone, anche l’evasione fiscale può andare bene.
5 Comments:
Basta.
01 settembre, 2008 12:51
Una sola precisazione in merito al concetto di eversione. Il primo significato offerto dal dizionario Garzanti è: insieme di atti violenti e criminosi volti a creare disordine e a sovvertire l'ordine costituito.
La prima parte è facilmente applicabile al fenomeno della violenza ultrà, almeno fino alla parola “criminosi”. Sulla seconda parte ho qualche dubbio in più. Se è certamente vero che nel voler dichiarare fuori dalle leggi dello stato di diritto (e della convivenza civile) gli stadi, i treni e gli autogrill, gli ultrà compiono una azione eversiva, sono meno d’accordo nel pensare che vogliano coscientemente sovvertire l’ordine costituito. Al contrario, le loro azioni sembrano essere perfettamente –o direttamente sospettosamente?– assorbite da questa specie di ordine costituito de facto di cui tu parlavi quando facevi riferimento agli interessi mediatici ed economici del sig.B e ai guadagni dei vari capobastone. Aggiungerei anche le responsabilità delle società.
Bacio.
P
02 settembre, 2008 14:38
Mi fa schifo il calcio: l'agonismo non è più contemplato, esistono solo i miliardi degli sponsor e i diritti televisivi. E ad ogni fine estate dobbiamo sorbirci l'annosa diatriba su quali tv debbano far vedere cosa. Basta.
Il tifo è specchio perfetto dello schifo sopra descritto: il posto giusto degli ultrà, a mio parere, è sulle strade, ad asfaltare marciapiedi e tappare buche.
Sulla risposta delle autorità a questo marciume, stendo un velo pietoso. I fatti parlano da soli. Amara ma geniale la battuta di Diego Abatantuono in un'intervista oggi al Corriere della Sera: "Dico sempre per paradosso che se vuoi uccidere tua suocera è bene che la porti dentro allo stadio e la strozzi con la sciarpa della tua squadra. Probabilmente ti vieteranno di vedere le partite per tutta la vita. Ma niente di più".
Però tutto questo parlare, tutta queste energie spese per arginare la violenza degli ultrà (domenica sera sono stata ferma 20 minuti su lungotevere per far passare i bus con i tifosi scortati da un esercito di mezzi di polizia!) ben perseguono l'obiettivo di distogliere l'attenzione degli italiani dal baratro in cui il Paese sta precipitando. Panem et circenses, diceva qualcuno...
Un bacio, le tue analisi sono sempre scintillanti.
La Leggera.
02 settembre, 2008 17:07
Il calcio come sport in sè non mi ha mai appassionato ma devo dire che il mio iniziale senso di distacco si sta piano piano evolvendo in disgusto.
Ho ormai deciso che non esiste neanche più la nazionale per me... perchè considero che alla fine siano davvero pochi i giocatori che come si suol dire "tengono alla maglia"... più che altro tengono ai soldi.
Tutto il mercato che gira intorno al calcio lo trovo disgustoso, ogni anno spero che i diritti rimangano invenduti, che si torni a praticare il calcio più allo stadio che in TV...
Sugli ultras ci sarebbe davvero da aprire un capitolo a parte.
Mi ricordo mio padre che doveva organizzare il servizio d'ordine per Italia 90, andò a Londra per capire come avrebbero dovuto comportarsi con gli allora tanto temuti hooligans.
Sono abbastanza scettica sul dire che ora gli hooligans non sono più così terribili, però sicuramente non lo sono più a casa loro. E come mai?
Forse innanzi tutto perchè i costi del servizio d'ordine (o almeno così mi sembra di aver capito, da poco intenditrice qual sono potrei sbagliare) ricade sulle squadre?
Se i danni che fanno i tifosi delle squadre li facessero pagare ai team stessi, invece che alla collettività, penso che si autoescluderebbero da soli.
Infine, se possiamo considerare gli ultras allo stremo dei brigatisti non lo so, per me come si diceva nei commenti, non lo sono coscientemente. Si fanno usare... a che pro, e a chi è vantaggioso tutto ciò?
Beh... a chi prende i soldi dal calcio
... e torna fuori ancora di più il mio disgusto.
A presto
V
12 settembre, 2008 16:35
E' vero, il calcio è uno sport bellissimo rovinato però da tutto ciò che c'è di contorno...
I malumori dei tifosi, le manifestazioni di violenza spesso la fanno da padroni, ed arrivano a condizionare l'evento sportivo stesso...
Gli avvenimenti che hanno recentemente sconvolto il mondo del calcio e ciò che ne è seguito dimostrano la fragilità del sistema, che è stato, è e sarà sempre di cartapesta...
HBK
29 settembre, 2008 11:32
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